Grillo e il Colle poca eleganza ma tanta verità

di Gaetano Pedullà

Va bene, la forma è poco ortodossa, diciamo pure non convenzionale. Ma sulla sostanza, se non ci fosse Beppe Grillo chi direbbe così forte una parola di dissenso sul Quirinale e il ruolo di arbitro trasformato in player della politica? Grillo, che può piacere o no, ha raccolto con il suo movimento milioni di voti, accusa apertamente il Presidente della Repubblica di riunirsi con esponenti di alcuni partiti per decidere come cambiare la legge elettorale. Riunioni alle quali il Quirinale si guarda bene dall’invitare i Cinque Stelle, se non per un incontro di facciata convocato solo dopo la protesta per l’esclusione dal conciliabolo. E non è il primo scontro con il Colle. Di fronte alla fragilità politica delle Larghe intese e all’inagibilità dei due maggiori partiti – il Pdl ormai spaccato e con il leader diretto alla decadenza dal Parlamento e il Pd ribaltato dal congresso – Grillo vede nel ritorno al voto l’unico elemento di chiarezza possibile. Un percorso insidioso anche per la sua parte politica, ma che si assume il rischio di correre, preferendo una fine spaventosa a uno spavento senza fine. Perché con la crisi che c’è, avere un governo che non governa rassicurerà pure i mercati, ma non ci aiuta a riacciuffare la ripresa. E soprattutto non ci da garanzie sulle riforme di cui abbiamo bisogno. A meno che queste riforme non le faccia il Quirinale, stravolgendo però la Costituzione e assumendosi prerogative che sono del Parlamento, non certo del Capo dello Stato. Invece, facendo da garante a Palazzo Chigi e impedendo il ritorno alle urne, anche a costo di frantumare i blocchi politici e venti anni di bipolarismo, Napolitano è il cappello sulla conservazione di questo sistema. Fumo negli occhi per chi invece il sistema lo vuole profondamente cambiare. Grillo userà pure termini poco ortodossi. Ma più di Napolitano, dall’altra parte, sta interpretando esattamente il suo ruolo.