di Vittorio Pezzuto
Alle incertezze di sempre, la recente apertura del nuovo anno scolastico ha aggiunto una situazione ingiusta e paradossale per tanti insegnanti che hanno il torto di aver creduto nella selezione sulla base del merito. E che ora si trovano vittime di un paradosso prodotto dalla lentezza della pesante macchina burocratica che governa la scuola pubblica italiana. È successo infatti che, dopo diversi anni durante i quali non erano stati attivati percorsi formativi e abilitanti alla professione, il Ministero dell’Istruzione abbia finalmente istituito nel giugno 2012 il “Tirocinio formativo attivo ordinario” (Tfa). L’accesso a numero chiuso, calcolato sulla base del fabbisogno di ciascuna regione e concepito per ottenere una scrematura in base al merito, prevedeva tre prove di disciplina (una nazionale e due di Ateneo). A tal punto che dei 115.000 candidati che hanno partecipato alle selezioni solo una piccola parte è risultata idonea e che soltanto i primi 11.000 sono riusciti a ottenere (sulla base dei punteggi ottenuti nelle singole prove, dei titoli di studio e dello stato di servizio) l’ammissione ai corsi di durata annuale presso le Università e al tirocinio presso gli Istituti scolastici. Per costoro è quindi proseguito un percorso di formazione estremamente impegnativo nonché una valutazione sul campo del lavoro svolto in classe come insegnanti. Solo chi ha svolto l’intero percorso con un voto almeno di 70/100 ha potuto infine ottenere il diritto all’iscrizione nella II fascia delle graduatorie di Istituto, un elenco prioritario rispetto alla III fascia (nella quale rientrano i docenti laureati ma non abilitati e alla quale si attinge soltanto quando si verifica un’estrema penuria di supplenti).
Una bella notizia per quanti credono nel merito e lamentano come la qualità degli insegnanti non venga mai verificata? Non proprio. È infatti accaduto che proprio il Ministero dell’Istruzione – che con la nota n. 839 del 10 aprile 2013 (poi scomparsa dall’archivio del sito) aveva invitato le Università coinvolte a chiudere il primo ciclo del Tfa entro l’estate (in modo tale da poter spendere l’abilitazione fin da quest’anno scolastico) – si sia poi ‘dimenticato’ di procedere in tempo utile all’aggiornamento delle graduatorie. Costringendo così gli ex tirocinanti ad attendere l’estate dell’anno prossimo per il meritato salto di livello nella seconda fascia. E obbligando pertanto le scuole a continuare a chiamare per l’insegnamento in classe degli insegnanti non abilitati. Dal Ministero confermano la situazione denunciata dagli ex tirocinanti (che raccontano la loro disavventura nella pagina web http://tfaordinario.blogspot.it/ e in un agguerrito gruppo Facebook che conta quasi 3.700 membri) ma fanno osservare come le graduatorie vengano di norma aggiornate ogni triennio: il rinvio dell’abilitazione all’estate 2014 non dipenderebbe pertanto da alcuna lentezza burocratica. Assicurano anzi che il ministro Carrozza sta seguendo da vicino la questione e precisano che «in questa vicenda vanno contemperate peraltro le esigenze di tutti, anche di coloro che sono in graduatoria da una decina di anni e che magari per pochi punti non sono riusciti ad accedere al Tfa». Affermazioni significative ma non rassicuranti. Se ne ricava infatti l’impressione che una formazione rigorosa e soprattutto verificata degli insegnanti della scuola pubblica viene ancora adesso considerata una subordinata alla necessità di consentire a tutti l’opportunità di un impiego temporaneo. Anni di dibattiti sulla società del merito non sono riusciti insomma a cambiare la mentalità di chi governa la pubblica istruzione. Alle legittime esigenze degli studenti e delle loro famiglie si preferisce contrapporre quelle di insegnanti che non si sono mai sottoposti a una probante valutazione sul campo e che possono vantare come unico merito numerosi anni di precariato. Hanno mancato per pochi punti l’abilitazione al Tfa? Vengono considerati quasi alla stregua di vittime innocenti del percorso selettivo che lo stesso Stato ha definito con chiarezza. Facendo intendere come il rispetto delle regole sia importante, ma ancor di più la persistente logica di tipo assistenzialista. La stessa che costringe spesso i vincitori di un concorso pubblico a restare per anni in attesa dell’immissione in ruolo perché nel frattempo il loro posto è stato occupato da precari entrati nella Pa con contratti a tempo determinato.