di Gaetano Pedullà
Comunque vada, la giunta per le elezioni del Senato ha già sbattuto Berlusconi fuori dall’aula. Se si deciderà di cacciarlo, il Cavaliere avrà perduto. Ma se pregiudiziali e codicilli dovessero salvarlo, avrà perduto lo stesso, perché un leader non può campare grazie a trovate da azzeccagarbugli. Dunque la crisi di governo è nei fatti, prima ancora che nella formalizzazione del verdetto parlamentare o nella riapertura dello zoo dove falchi e pitonesse sono pronti a venir fuori più indiavolati di prima. Uno scenario di profonda instabilità, che però piace da morire a quei poteri pseudo forti che come un mantra giorno dopo giorno minacciano: far cadere Letta è da irresponsabili. I mercati non capirebbero. La ripresa fuggirebbe via. E tornare al voto, specie con l’attuale legge elettorale, non garantisce un risultato capace di dare stabilità a un nuovo governo. L’ultimo ad allungare la fila dei fedeli supporter di Palazzo Chigi è stato ieri il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. Ma per salvare il soldato Letta abbiamo visto nei giorni scorsi gli appelli di grandi banchieri, sindacalisti, imprenditori e persino della Confindustria. Più è debole la politica più questi poteri galleggiano e fanno gli affari loro. Se poi c’è in vista un nuovo giro di privatizzazioni e vendite di Stato, la cosa si fa ancora più ghiotta. La politica intanto cincischia. Chi sta al governo, nel Pd e nel Pdl, canta le lodi delle mille riforme che si sogna di fare. E si avvisano gli scettici che non c’è alternativa, perché Napolitano potrebbe dimettersi, lo spread potrebbe volare, i soliti mercati non capirebbero, ecc. ecc. Una politica che così svela di non avere coraggio, di puntare a sopravvivere senza nemmeno sognare un Paese diverso. Una politica debole con i poteri autonominatisi forti di casa nostra. E dunque debolissima con i mercati e l’Europa. Detto questo, qualcuno crede ancora che il problema dell’Italia è se il senatore Berlusconi decade o no?