Il testo anti-mine torna in Aula: Mattarella non firma la legge. La norma mira al divieto di produzione e uso delle armi, ma non ci sono pene per chi consente i finanziamenti

Il testo anti-mine torna in Aula: Mattarella non firma la legge. La norma mira al divieto delle armi, ma non ci sono pene per chi consente i finanziamenti

La si attendeva da anni. E alla fine è arrivata, salvo poi essere rispedita al mittente. Parliamo della legge che introduce misure stringenti per evitare il finanziamento delle imprese che producono mine antiuomo e submunizioni a grappolo. Un percorso lungo, cominciato addirittura nel 1997 con la prima convenzione internazionale, quella di Ottawa, che già allora chiedeva la “proibizione dell’uso, stoccaggio, produzione, vendita di mine antiuomo e relativa distruzione”. Ci si è poi tornati anni dopo, nel 2010, con una seconda convenzione, di Oslo (ma firmata a Dublino), in cui si richiedevano, sulla scia del primo accordo, sanzioni penali per tutti i finanziatori degli ordigni vietati.

Clamoroso flop – Tutto chiaro, lapalissiano. Peccato, però, che da allora il lavoro indefesso del Parlamento abbia portato a un testo di legge che determinerebbe invece la depenalizzazione di alcune condotte oggi sanzionate penalmente. Insomma, esattamente l’opposto rispetto a quanto si chiede nelle due convenzioni internazionali. Ed è proprio per questi motivi che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha deciso di non firmare la legge rispedendo alle Camere il testo. Il motivo? La norma presenta “profili di evidente illegittimità incostituzionale”. Nel messaggio alle Camere trasmesso lo scorso 27 ottobre, infatti, si legge che nel disegno di legge è presente “una disposizione che risulta in evidente contraddizione con le dichiarate finalità dell’intervento normativo e che appare connotata da rilevanti profili di criticità”. Tutto ruoterebbe intorno all’articolo 6 (rubricato “Sanzioni”) della legge in esame. In quanto, osserva ancora Mattarella nella nota ufficiale, così come concepita la norma determinerebbe “l’esclusione della sanzione penale per determinati soggetti che rivestono ruoli apicali e di controllo (per esempio i vertici degli istituti bancari, delle società di intermediazione finanziaria e degli altri intermediari abilitati); per altri soggetti, privi di questa qualificazione, sarebbe invece mantenuta la sanzione penale, che prevede la reclusione da 3 a 12 anni, oltre alla multa da euro 258.228 a 516.456”. Tutto ciò, conclude il presidente della Repubblica, “contrasta con l’articolo 3 della Costituzione che vieta ogni irragionevole disparità di trattamento fra soggetti rispetto alla medesima condotta”.

Soliti favori – Al di là di chi siano le responsabilità (potrebbe essere stata semplicemente una svista degli uffici tecnici che non hanno uniformato la legge alla normativa penale) è evidente che il risultato è l’ennesimo favore agli istituti finanziari, dato che la legge così come approvata dalle Camere, per dirla con Mattarella, “priva di rilevanza penale le operazioni di finanziamento alle imprese produttrici di mine antipessona e di bombe a grappolo, se effettuate da soggetti che rivestono posizioni apicali all’interno degli enti intermediari abilitati”. Parliamo, cioè, delle cosiddette “banche armate”, ovvero gli istituti che permettono le transazioni e di fatto le vendite dei sistemi d’arma. Un particolare non da poco, non c’è che dire. Ed è anche per questo che le associazioni pacifiste, in primis la onlus “Campagna italiana contro le mine”, hanno chiesto al Parlamento di recepire quanto prima le osservazioni del Quirinale. Perché dopo gli anni trascorsi dalle due convenzioni non si può più attendere. Basti questo: il primo disegno di legge presentato per introdurre sanzioni contro i finanziatori di mine risale al 2010. Ci sono voluti sette anni per avere una legge. Si spera di non doverne aspettare altri sette.

Tw: @CarmineGazzanni