Infiltrazioni mafiose, la Dia: “Pronti a vigilare sugli appalti del Ponte sullo Stretto, ma la repressione da sola non basta”

La 'Ndrangheta regina incontrastata del crimine. A dirlo, la Relazione semestrale della Dia: le cosche non combattono più le altre mafie, ma collaborano.

Infiltrazioni mafiose, la Dia: “Pronti a vigilare sugli appalti del Ponte sullo Stretto, ma la repressione da sola non basta”

Gli appalti del Ponte sullo Stretto? “Siamo pronti a svolgere l’attività di prevenzione che sarà decisa dagli organi istituzionali. Abbiamo già un background molto importante di esperienza, di capacità, di risorse”. Parole del generale Michele Carbone, direttore della Direzione investigativa antimafia (Dia), in occasione della presentazione della Relazione sull’attività svolta dalla Dia nel secondo semestre 2024.

Il capo della Dia: “L’azione penale da sola non basta”

Ma, ha avvertito subito Carbone, “per contrastare le mafie la sola azione penale non è però sufficiente”. Per il capo della Dia, infatti è “fondamentale è anche il ruolo della prevenzione, tanto giudiziaria, attraverso le misure di prevenzione personali e patrimoniali, quanto amministrativa, con il monitoraggio degli appalti pubblici e le interdittive antimafia prefettizie, nonché i presidi di prevenzione del riciclaggio, funzionali a sottrarre alle mafie le risorse che ne garantiscono la continuità”.

Un monito che stride fortemente con l’allentamento dei controlli e delle norme messo in pratica dal governo di Giorgia Meloni. Un allentamento che preoccupa, soprattutto in questa fase storica di grandi opere pubbliche, “legate all’attuazione del Pnrr, alla celebrazione del Giubileo, allo svolgimento dei Giochi Olimpici di Milano Cortina 2026 nonché prossimamente con l’avvio dei lavori per la costruzione del Ponte sullo Stretto”, come dimostrano le prese di posizione di Magistrati e inquirenti.

‘Ndrangheta regina incontrastata

La relazione, come sempre, analizza tutte le componenti malavitose italiane, tra le quali ormai la ‘Ndrangheta ha assunto da tempo un ruolo preminente e aggregatore. Un serpente elusivo, in grado di arrivare ovunque.

Secondo il rapporto assistiamo a “un’infiltrazione sempre più concreta e articolata della ‘ndrangheta nel settore degli appalti pubblici e nel rilascio di autorizzazioni, licenze e concessioni”, tanto che solo negli ultimi sei mesi del 2024 “sono stati adottati almeno 208 provvedimenti interdittivi antimafia”, dei quali oltre 138 (il 72%) emanati da Prefetture al di fuori della Calabria (Sicilia, Puglia, Campania, Lazio e Basilicata).

“Tali misure – continua la Dia – testimoniano la marcata propensione delle cosche a infiltrarsi e a condizionare, in maniera preponderante, i settori agroalimentare, la produzione e il commercio all’ingrosso e al dettaglio di prodotti alimentari, l’edilizia, il turismo e la ristorazione, nonché il settore estrattivo e dei trasporti nelle Province calabresi; mentre, in ambito extra-regionale, l’intervento si concentra nei settori agricolo, turistico ricettivo, della raccolta dei rifiuti, delle costruzioni edili, del trasporto merci, del commercio al dettaglio, della farmaceutica, della somministrazione di alimenti e bevande e del noleggio di autovetture”.

Le ‘Ndrine come Proteo: cambiano forma

Le indagini, aggiunge poi la Dia, “delineano con chiarezza l’immagine di una ‘ndrangheta ‘proteiforme’ (Pròteo, divinità celebre per la sua capacità di mutare forma per sfuggire agli inseguitori, ndr), la quale si distingue per la pervicace vocazione affaristico-imprenditoriale e per il ruolo di protagonista di rilievo nell’ambito del narcotraffico internazionale”.

“Versatilità tattica straordinaria”

“Rispetto ad altre matrici mafiose tradizionali”, continua la Dia, “l’organizzazione calabrese manifesta una versatilità tattica straordinaria, che le consente di adattarsi ai molteplici contesti in cui opera. Essa attrae abilmente i propri interlocutori – che spaziano dagli attori della politica locale agli operatori economici e imprenditoriali – prospettando un apparente ventaglio di opportunità e vantaggi immediati, per poi fagocitare e controllare tutti i settori in cui penetra”.

Un cancro ormai diffuso nell’Intero Paese e all’estero, se è vero che sono almeno 48 le locali di ‘ndrangheta dislocate tra il Centro e Nord Italia, dove per favorire l’espansione territoriale “le cosche hanno fatto leva sulla capacità di instaurare rapporti con clan appartenenti ad altre organizzazioni mafiose di diversa estrazione e origine”.

I patti con le altre mafie

Che tra mafie non si combatta più, ma si cooperi, stringendo “patti utilitaristici”, per gestire armi e droga, è infatti una verità più che assodata. Come accaduto per esempio “tra Cosa nostra gelese e ‘ndrangheta calabrese per la gestione del traffico di stupefacenti”. Circa i risultati ottenuti, nel 2024 la Dia ha sequestrato beni per 93,4 milioni e confiscato beni per 159,9 milioni. In particolare: sono stati sequestrati 56,7 milioni alla camorra; 15,9 milioni alla ‘ndrangheta; 13 alla mafia foggiana e 5,9 milioni a Cosa nostra. Circa le confische: 104 milioni a Cosa nostra; 30,9 milioni alla camorra; 8,1 milioni alla ‘ndrangheta e 2,2 milioni alla mafia foggiana.

In Lombardia le Locali dettano legge

In Lombardia, tra le 50 interdittive antimafia emesse nel 2024, la maggior parte sono state dirette contro le ‘ndrine, che qui trovano “terreno fertile per consolidare e ampliare i propri affari illeciti”. Uno dei provvedimenti adottati, in particolare, è stato emesso nei confronti di una società operante nel settore edile con sede nella provincia di Milano impegnata nella realizzazione di un parcheggio interrato nella provincia di Sondrio per un valore di circa 800 mila, inserita nel piano delle opere per le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026, i cui amministratori “sono risultati in rapporti personali e professionali con esponenti di alcune consorterie ‘ndranghetiste delle province di Catanzaro, Crotone e Reggio Calabria”.

Un altro provvedimento ha colpito una società edile milanese affidataria di un subappalto nell’ambito del Pnrr, i cui amministratori sono stati ritenuti “vicini” alla cosca Arena di Isola di Capo Rizzuto.

In generale, si legge nella relazione della Dia, “le più rilevanti inchieste giudiziarie hanno confermato il predominio della ‘ndrangheta nel panorama criminale lombardo. La consorteria calabrese ha consolidato negli anni una strategia di infiltrazione silente, radicandosi nel tessuto economico-finanziario e dimostrando un’elevata capacità di rigenerazione strutturale, grazie all’inserimento di nuovi affiliati e all’intensificazione delle relazioni con altre realtà criminali”.

Roma un caso a sé

Nel Lazio e in particolare a Roma, il discorso è diverso. Per la centralità politica, istituzionale ed economica,  le organizzazioni criminali nella Capitale hanno sviluppato un modello mafioso alternativo, capace di coniugare reati tradizionali come estorsione, usura e traffico di droga con raffinate strategie di infiltrazione nell’economia legale.

Le organizzazioni criminali mafiose italiane, che non rientrano nelle mafie tradizionali (cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra e sacra corona unita), nate negli anni Settanta, costituiscono un fenomeno del tutto specifico.

Spiega infatti la relazione, “il pluralismo di organizzazioni criminali si manifesta nella convivenza, apparentemente pacifica, di agglomerati che rappresentano, in senso lato, estensioni delle tradizionali organizzazioni mafiose (‘ndrangheta, camorra e cosa nostra) e di formazioni di matrice autoctona. Pur differenziandosi per struttura organizzativa e modalità operative, tali entità si riconoscono per il ricorso al metodo mafioso, finalizzato sia alla conquista e spartizione del mercato illecito, sia alla progressiva penetrazione del tessuto economico e imprenditoriale, in particolare della città di Roma, al fine di riciclare e reimpiegare con profitto capitali di provenienza illecita”.