La Fini-Giovanardi va in fumo

di Angelo Perfetti

La sentenza è di quelle epocali, la confusione che ne è nata altrettanto. La Fini-Giovanardi, dopo otto anni di servizio, va in pensione per incostituzionalità. La Consulta, infatti, ha bocciato la legge che equiparava droghe leggere e pesanti: nella norma di conversione furono inseriti emendamenti estranei all’oggetto ed alle finalità del decreto. Con la decisione rivive dunque la legge Iervolino-Vassalli come modificata dal referendum del ‘93, che prevedeva pene più basse per le droghe leggere. La sentenza arriva in un momento particolarmente delicato. Da una parte il dibattito mai sopito sulla legalizzazione delle droghe leggere, dall’altra il tema dello svuotamento delle carceri.

Antiproibizionisti all’attacco

E se da molti il ritorno alla Iervolino-Vassalli viene interpretato come un favore (anche se non richiesto) al governo Letta impegnato in una battaglia per arrivare all’approvazione dello svuota-carceri, la decisione della Consulta è stata immediatamente letta dagli antiproibizionisti (Pannella per i Radicali, Vendola per Sel) come la carica per tornare all’attacco e chiedere la legalizzazione della cannabis. Agli antiproibizionisti replica Forza Italia: “Non passano che poche ore dalla sentenza sulla Fini-Giovanardi che personaggi come Vendola vanno subito all’incasso puntando alla legalizzazione della cannabis – ha dichiarato Gasparri -. I ‘liberalizzatori’ si stanno scatenando. Queste sono le conseguenze di chi ha fatto scelte sbagliate. Ci opporremo in Parlamento e nel Paese per impedire che ogni ipotesi di legalizzare la droga diventi legge nel nostro Paese”.

E così, come sempre accade in Italia, la confusione regna sovrana. In realtà, la decisione della Corte Costituzionale non entra nel merito etico-morale né scientifico dell’utilizzo della droga, ma si limita a registrare come irregolari alcuni emendamenti che riguardavano l’inasprimento delle pene in tribunale. Prendere a pretesto questo aspetto per far passare automaticamente il messaggio della bontà della legalizzazione è un’operazione politica meramente strumentale. Che ci sia il dibattito aperto con le varie posizioni da considerare con uguale rispetto è una cosa, ma utilizzare la sentenza come grimaldello per scardinare il principio di illegalità delle sostanze stupefacenti è altra cosa.

 

La posizione del Dpa

D’altronde lo stesso Dipartimento politiche antidroga, la struttura della Presidenza del Consiglio che si occupa della materia, da tempo si era detta favorevole all’uso di pene alternative al carcere, proprio ritenendo quest’ultima metodologia non adatta ad aiutare chi si trova nel tunnel della tossicodipendenza. ‘’Rispettiamo la decisione della Corte costituzionale, ma bisognerà anche comprendere quali saranno le ricadute in termini di programmazione e gli impatti sanitari sulla salute pubblica di un ritorno al passato di questo tipo’’, ha detto   Giovanni Serpelloni, Capo Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio. “La legge Iervolino-Vassalli -spiega Serpelloni- è stata fatta in un periodo in cui c’erano certi tipi di droga che non esistono praticamente più, in cui la percentuale di Thc nella cannabis era del 5%, mentre ora siamo arrivati fino al 55%. Andranno ridefinite le norme -rimarca- sulle base di una realtà profondamente cambiata anche per l’arrivo di nuove sostanze sintetiche spacciate sul web. Sara’ il Parlamento a decidere la nuova regolamentazione, a cui tutti ci atterremo. Resta il fatto – ha concluso Serpelloni – che i consumatori di sostanze stupefacenti in Italia non devono essere inseriti in un circuito penale, ma gli spacciatori sicuramente sì’’.

 

La lettura politica

C’è anche chi però esce dallo stretto argomento della droga e ne fa un caso di metodologia politica sbagliata. E’ il Movimento 5 Stelle che con una nota del Gruppo della Camera prende posizione: “La Corte costituzionale ancora una volta si pronuncia contro l`abuso di decretazione e contro i decreti-macedonia che legano assieme temi fra loro eterogenei. Siamo soddisfatti della bocciatura di una legge vergogna che, senza ricorrere alla pronuncia della Consulta, poteva benissimo essere modificata in Parlamento durante questi ultimi sette anni.  Come da tempo sosteniamo – concludono i parlamentari grillini – ancora più alla luce della richiesta di messa in stato d`accusa del presidente della Repubblica, il Parlamento italiano è esautorato e prono.