La lezione non è servita. Dall’Ucraina a Israele è ripartito il tifo bellicista

Persino gli editoriali dei giornali israeliani risultano più equilibrati degli ultrà di casa nostra.

La lezione non è servita. Dall’Ucraina a Israele è ripartito il tifo bellicista

Non abbiamo imparato niente. O forse abbiamo imparato troppo bene. Mentre infiamma la controffensiva di Israele dopo la controffensiva di Hamas – le ennesime in decenni di guerra ininterrotta che in queste ore raggiunge numeri da strage – l’Italia si distingue per provincialismo e cinismo ripetendo il solito copione. Diceva Winston Churchill che gli piacevano gli italiani perché vanno alla guerra come fosse un partita di calcio e infatti il tifo è già qua. I titoli di alcuni giornali e di alcuni siti di informazione declina dal dovere di informare lanciando la rincorsa alla polarizzazione: stare con Israele è l’occasione per un po’ di sciacallaggio politico contro gli avversari, presumendo di poterli mettere in difficoltà. Ubriacati dal bellicismo allenato da più di un anno di guerra in Ucraina alcune firme del giornalismo nostrano invocano addirittura il diritto alla rappresaglia, sventolando la vendetta israeliana agli orrori compiuti da Hamas come un “ripristino della civiltà”.

Persino gli editoriali dei giornali israeliani risultano più equilibrati degli ultrà di casa nostra

Anche la formula è quella già sentita: “Bisogna difendere l’Occidente”, ripetono, dove per “difesa dell’Occidente” intendono lo sterminio di un popolo. Quando scoppia una guerra per una parte della stampa italiana sembra che non esiste né passato né futuro. Non esistono gli ultimi 20 anni in cui Gaza è diventata la più grande prigione a cielo aperto e non esiste la capacità di distinguere il popolo israeliano dal suo pessimo primo ministro Benjamin “Bibi” Netanyahu. Ieri il professore di Sociologia della Suola Normale di Pisa, Lorenzo Zamponi, proponeva di partire da due semplici verità: “Che i palestinesi subiscono un’ingiustizia storica e presente a cui hanno diritto a resistere, e che i massacri di civili (tutti, sempre) sono inaccettabili e ingiustificabili. Mettere in discussione uno di questi due punti porta fuori strada”.

Ora è ancora più difficile parlare di Pace. Rimossi vent’anni di storia in Medio Oriente

“Lo dico perché si stanno costruendo mostri politici, – spiega Zamponi – dalla guerra di civiltà “perché Israele è Occidente” alle odi a Hamas vendicatrice degli oppressi. Per non parlare di chi legge la questione attraverso la bandierina ucraina o russa che ha nel profilo”. Niente da fare. Chi osa ribellarsi al tifo viene marchiato come “pacifinto”, al solito. Risultano più equilibrati perfino gli editoriali israeliani: “Il disastro che ha colpito Israele durante la festa di Simchat Torah è la chiara responsabilità di una persona: Benjamin Netanyahu. – scrive il quotidiano israeliano Haaretz – Il primo ministro, che si è vantato della sua vasta esperienza politica e della saggezza insostituibile in materia di sicurezza, non è riuscito completamente a identificare i pericoli in cui stava conducendo consapevolmente Israele quando ha istituito un governo di annessione e espropriazione”.

Il pluripremiato giornalista e attivista politico israeliano e direttore esecutivo di +972 Magazine, Haggai Matar, scrive: “Ricordo che tutto ciò che sento ora, che ogni israeliano deve condividere, è stata l’esperienza di vita di milioni di palestinesi per troppo tempo. L’unica soluzione, come è sempre stata, è porre fine all’apartheid, all’occupazione e all’assedio e promuovere un futuro basato sulla giustizia e l’uguaglianza per tutti noi”. Dalle nostre parti verrebbe tacciato di filoterrorismo. È la guerra per amore della guerra. Sullo sfondo rimangono i “poveri cristi” di cui parlava Gino Strada: le famiglia israeliane che piangono i morti, i feriti e i rapiti e le famiglie palestinesi che attendono la controffensiva che le cancellerà. I governi si fanno la guerra e i popoli ne pagano le conseguenze. I nostri “esperti” si godono un altro giro ai bordi dell’arena cancellando il passato e senza nessuna preoccupazione per il futuro.