La secessione

di Gaetano Pedullà

Diciamo la verità: il carro armato dei poveri che doveva guidare la sollevazione del Veneto ci ha fatto ridere un po’ tutti. E anche le millanterie dei secessionisti, intercettate al telefono, non possono essere prese sul serio. L’esercito che si solleva accanto agli insorti è una fantasia del tutto campata in aria. Ma la vicenda ha un aspetto che merita di non essere sottovalutato. Per sentirsi parte di uno Stato e di un unico popolo occorre sentirne l’anima, condividerne quel patto sociale che sta a monte dell’essere comunità. Sensazioni che gli italiani stanno perdendo. La disaffezione verso la politica, e di rimando verso le istituzioni, è palpabile. Si va a votare sempre meno e non c’è caposaldo del sistema che non barcolli sotto la contestazione, a partire dalla nostra Carta fondamentale: la Costituzione. Se il trattore travestito da carro armato non mette paura, il decadimento del nostro senso collettivo e la diffidenza verso i simboli di tutto ciò che è pubblico (dal Governo all’ultimo ufficio comunale) sono invece un pericolo vero. La secessione che spaventa non è dunque quella del Veneto (o quella vaneggiata dagli indipendentisti sardi o dai nostalgici del Regno delle due Sicilie), bensì lo strappo tra cittadini e istituzioni. Una frattura profonda, di fronte alla quale i quattro rivoluzionari arrestati ieri sono davvero poca cosa. Come si aggiustano queste ferite? Per i secessionisti la magistratura farà il suo corso. Per riavvicinare le persone allo Stato servono invece risposte ai problemi, efficienza e buona politica.