L’ex dg Masi: via la pubblicità da Viale Mazzini. Altrimenti il canone va diviso con tutti i gestori che fanno servizio pubblico

PUBBLICATO MERCOLEDì 23 OTTOBRE 2013

di Marco Castoro

Difficili. Belli. Esaltanti. Faticosi. Mai banali. Così Mauro Masi definisce nel suo libro “Un nemico alla Rai” gli 800 giorni che lo hanno visto nelle vesti di direttore generale della tv di Stato.
Che idea si è fatto della Rai attuale?
Questa è una Rai che fa il meglio di cui è capace. Il contesto è molto difficile. E lo sarà fino a quando non si cambiano le norme, al di là della competenza e della buona volontà di chi la gestisce, dal dg ai consiglieri, tutti dei professionisti validissimi che oggettivamente sono obbligati a muoversi in un contesto normativo non adeguato ai tempi. Personalmente ho maturato – rispetto al periodo in cui c’ero e a distanza da un anno dal libro che ho scritto – una convinzione importante: penso che il sistema misto con cui la Rai è cresciuta nel Dopoguerra, cioè servizio pubblico più azienda tv che sta sul mercato, vada ripensato. Perché da un lato gli sviluppi della tecnologia con le multipiattaforme, dall’altro gli sviluppi dell’economia con la crisi e il sistema dell’Eurozona, abbiano reso i confini troppo difficili. Bisogna cominciare a pensare che il gestore del servizio pubblico debba vivere solo con il canone. Altrimenti non è giusto che vada tutto a un unico gestore. Chi fa del servizio pubblico deve prendere un pezzo del canone pro-quota.
Che cosa pensa della polemica sui contratti dei conduttori?
Chi chiede la trasparenza, da Brunetta a Grillo e ai sindacati, ha centomila ragioni, ma la Rai per metà deve stare sul mercato e quindi capisco anche la difficoltà dell’azienda.
I compensi potrebbero però essere pubblicati?
Non c’è dubbio. Sono favorevole. Del resto io faccio il manager pubblico e dei miei stipendi si sa tutto su internet. Quando ero dg il mio compenso annuale era di 715 mila euro, adesso è di 478 mila. Nessun segreto, stanno su internet. Si sa qualsiasi cosa, anche che pago il 52% di tasse.
E allora perché non si deve sapere di Fazio?
Ripeto di essere a favore della trasparenza e della pubblicazione di tutti i compensi. Questo però dimostra di come stride il servizio pubblico con le esigenze di mercato. Davanti c’è una strada: o scegliere quella del solo canone o pensare all’opposto tenendo il mercato ma dividendo il canone tra più gestori. Il sistema va rivisto.
Ma se la Rai vivesse di solo canone, rinunciando alla pubblicità, qualcuno potrebbe obiettare che si sta facendo un regalo a Mediaset?
Discorso totalmente superato. La multimedialità non è un fatto da sottovalutare. Il garante ci ha detto che è Sky il primo gestore di ricavi tv. Il mondo è cambiato.
La distribuzione del canone dovrebbe riguardare anche chi fa streaming, internet e le altre piattaforme?
È giusto che si debba pensare non più solo al gestore del settore radio-tv. Chi fa servizio pubblico deve ricevere una pro quota di canone, indipendentemente da chi sia il gestore. Ricapitolando: non si può dire di no alla trasparenza se sei servizio pubblico. Però se sei sul mercato devi tenere botta alla concorrenza.
Se Fazio costa tanto perché vale tanto e la Rai ritiene giusto tenerlo affinché non vada alla concorrenza nulla da eccepire, il punto è perché non si deve sapere quanto guadagna? Perché non dirlo?
Il contratto di servizio dovrebbe esprimere e indicare anche questo.
È favorevole a un solo canale che faccia servizio pubblico?
Perché no? È un’ipotesi a cui si può pensare. Come fa la Bbc. Anche se secondo me tutti i canali dovrebbero fare servizio pubblico.
Il canale prescelto potrebbe essere Raidue, che per quanto riguarda gli ascolti non sta andando benissimo…
Può essere una soluzione. Bisogna prendere atto però che il modello misto ha significato molto per il servizio pubblico Rai, dando dei vantaggi per gli ascolti. Durante la mia gestione la media giornaliera raggiungeva il 45-46%. Ora è un po’ scesa, comunque resta sempre più alta della Bbc che raggiunge il 28%.
Quindi una Rai con il canone o con la pubblicità?
Solo canone senza pubblicità. In pratica se si recuperano i 600 milioni che si perdono con l’evasione si raggiungono i 2,1 miliardi di entrate. Cifra più che sufficiente per la gestione. Così non si deve più seguire il mercato. Per quei 115 euro l’anno che pagano di canone, i cittadini si sentono proprietari di un pezzo del palazzo di viale Mazzini, o delle sedie, di un pezzo della Clerici, di Vespa, di Fazio, della Carlucci.
I suoi successori, prima Lorenza Lei e poi Luigi Gubitosi, come si sono comportati?
Per stile non do mai giudizi. Le loro difficoltà nascono dal contesto normativo. Così nemmeno Steve Jobs farebbe miracoli.
Qualche norma da cambiare?
1) La governance in primis. Adesso il capo azienda non è membro del cda. Per contro il cda non può decidere nulla senza che non ci sia una proposta del dg. Queste sono due debolezze che non fanno una forza nei momenti di crisi. Poi si parla tanto di scindere la Rai dalla politica. Semmai va tolta dai partiti. Perché come si fa a pensare a un servizio pubblico senza la politica?
2) Va cambiata anche la mitica legge Gasparri. Inadeguato ai tempi il meccanismo di elezione del cda deciso dalla commissione bicamerale che finisce per essere l’ultimo regno del proporzionalismo fatto col bilancino nel sistema maggioritario.
3) I limiti di spesa del dg. Io ne avevo uno ridicolo, di 2,5 milioni di euro. Limiti cambiati poi dal governo Monti, non con una legge ma con un accordo, una convenzione. 2,5 milioni di spesa è praticamente quanto costa un programma qualunque in tv, quindi alla fine doveva vedere tutto il cda. Adesso è intorno ai 10 milioni, se non sbaglio.
4) Chi è il responsabile editoriale della Rai? Con la normativa vigente non si capisce. Il dg per certi aspetti. Per altri il cda. Per altri ancora i direttori di rete o addirittura i conduttori. Io feci una polemica micidiale un po’ con tutti a riguardo, anche se diventò più mediatica quella con la sinistra. Ma ebbi da ridire con Vespa, Paragone, Santoro, Fazio. Tutto questo fa un mix di governance passata, già vecchia. Ora la rete e le multipiattaforme l’hanno resa vecchissima.
Non sarebbe meglio un amministratore unico al posto del cda?
L’amministratore unico è un po’ complicato per un’azienda che ha 13 mila dipendenti e un fatturato che supera i 2 miliardi di euro. Sarei più per l’amministratore delegato, con il dg che faccia parte del cda. Certo un cda a 9 sembra un po’ troppo numeroso. In genere negli enti pubblici i consiglieri sono 5 o 7 al massimo. Mai 9.
Perché Santoro la pizzica sempre?
Santoro fa il suo mestiere. Quello che penso di lui l’ho scritto sul libro. Non ho altro da aggiungere. So che ci dovremmo incontrare in tempi brevi in aula di giustizia.
Il digitale. Una conquista…
Il passaggio dall’analogico al digitale tra il 2009 e il 2010 è stato pagato tutto dalla Rai: è costato 300 milioni di euro. Senza avere nemmeno un centesimo di soldi pubblici. Il digitale è stato un passaggio epocale: da 3 canali a 14, la più grande offerta free d’Europa. Negli anni sarà importante come quello del passaggio dal bianco e nero al colore.
Perché ha tagliato l’accordo pluriennale con Sky. Quei soldi avrebbero fatto comodo a Viale Mazzini?
Le cose non stanno proprio così. Questo contratto fu impugnato in Rai dal mio predecessore Cappon e io lo trovai in pratica già disdetto. Non lo rinnovai perché Sky fece un’offerta inaccettabile: 7 anni obbligatori non li fanno più nemmeno nello Zimbabwe. Con 50 milioni l’anno si compravano tutto il bouquet Rai che valeva 200 milioni. Inoltre nel vecchio contratto di servizio l’art 26 è scritto in maniera ambigua. Ritengo fuori dal senso comune il fatto che la Rai debba regalare il segnale anche alle piattaforme a pagamento. Con quella scelta abbiamo difeso l’indipendenza della Rai. Il signor Sky che fa? Va a caccia di pubblicità usufruendo anche del bouquet Rai, togliendo risorse alla concorrenza, quindi pure all’azienda di Viale Mazzini.
Sì, ma Tvsat è stato un fallimento…
Non è una mia esperienza. Me la sono trovata. Una volta che è stato scelto il digitale, il satellitare trova il tempo che trova. Come ho già detto la pubblicità con il digitale è superiore ai 50 milioni annui che metteva sul tavolo Sky. Ho querelato un giornalista del Fatto proprio su questa vicenda.
Ma la Rai ha perso un po’ di appeal?
La Rete sta cambiando il mondo dell’audiovisivo, cambia il volto delle tv. La Rai ne risente come tutte le tv mondiali.
Cosa pensa dei canali all news?
Pagano direttamente le conseguenze della Rete. Vivono una profonda crisi. Sono stati un esperimento fantastico negli anni 90 e nel 2000. Oggi hanno perso l’appeal. Anche negli Usa sono in fase di ripensamento.
Quindi andrebbe rivisto lo sforzo economico verso le all news. Un fiore all’occhiello con uno share decimale può rappresentare un lusso?
Se il servizio pubblico ritiene che una rete all news debba essere fatta nulla da eccepire. Capisco meno le tv commerciali con quei livelli di ascolti.
Lei investirebbe sulle all news? Per il dg Gubitosi sembrano essere una priorità…
Io investirei su una tv specializzata in economia. La crisi economica ci ha portato alle interconnessioni tra la massaia che fa la spesa al mercato e le decisioni di Draghi e della Bce. Io ci ho provato a fare un programma di economia in Rai ma non ci sono riuscito. Ai 14 canali digitali ne avrei voluti aggiungere altri due tematici: uno meteo e uno economico. Ma il budget purtroppo non me lo ha permesso.