di Clemente Pistilli
Costretti alla precarietà, ricompensati con pochi spiccioli, senza pensione e costretti a recarsi a lavoro anche se malati, i giudici di pace stanno mostrando questa volta di voler fare sul serio. Sono entrati in sciopero lunedì scorso, per chiedere al Governo di spezzare le catene che li rendono schiavi, e alla protesta hanno aderito in massa, tenendosi il 95% di loro lontani dalle aule. Andando avanti così, nelle due settimane di astensione, salteranno 200mila processi. Il Csm sta cercando di correre ai ripari, ma le toghe, stanche di promesse puntualmente disattese, puntano ancora più in alto: chiederanno l’intervento della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Sulle barricate
I giudici di pace, andando avanti a forza di proroghe annuali e con i mandati tutti in scadenza nell’arco dei prossimi dodici mesi, avevano chiesto un minimo di stabilità e ottenute rassicurazioni dal guardasigilli Annamaria Cancellieri, che si era impegnata a concedere la proroga per un quadriennio. Nel momento in cui il provvedimento doveva essere inserito nella legge di stabilità, i magistrati onorari hanno però scoperto che per loro era prevista la proroga soltanto di un altro anno. L’ennesima delusione, mentre il disegno di legge per il riordino della magistratura onoraria, presentato dal senatore Giacomo Caliendo, già sottosegretario alla giustizia, attualmente al vaglio del Senato, prevede risultati migliori con meno magistrati, mandando a casa ben tremila toghe e passando dalle attuali ottomila a 5200. Troppo per uomini dello Stato che ogni giorno mandano avanti la macchina della giustizia, che vengono pagati in base alle sentenze emesse, senza avere ferie né coperture in caso di malattia, che devono fare udienza anche quando sono in stato interessante o sottoposti a cure pesanti, visto che dopo sei mesi di assenza, giustificata o no, perdono il posto. I giudici di pace sono così entrati in sciopero per il massimo consentito: due settimane. E l’adesione è stata massiccia. Il 95% dei magistrati ha risposto all’appello delle due associazioni di categoria, l’Unagipa e l’Angdp. Fino al 6 dicembre andranno così avanti solo le cause urgenti, quelle penali che rischiano di finire in prescrizione e le convalide delle espulsioni di immigrati irregolari.
Niente sconti
Il Consiglio superiore della magistratura, dinanzi alla paralisi di una parte rilevante del sistema, sta cercando una soluzione e il 3 dicembre incontrerà i giudici di pace. Un’apertura che non tranquillizza le toghe. “Non abbiamo nessuna intenzione di fermarci, continueremo con azioni di protesta finché non ci saranno garantiti i diritti”, ha sostenuto il presidente dell’Unione nazionale giudici di pace, Gabriele Longo. L’obiettivo dei magistrati onorari è ottenere da Bruxelles quel minimo di diritti che finora l’Italia ha ignorato. “A causa della carenza di tutele – ha assicurato Vincenzo Crasto, presidente dell’Associazione nazionale giudici di pace – abbiamo deciso di adire la Corte europea dei diritti dell’uomo”. I numeri del resto stanno tutti dalla parte dei giudici di pace: si fanno carico del 60% del civile e costano 80 milioni di euro l’anno contro i 4,5 miliardi dei loro colleghi di carriera.