Mezzi pubblici strapieni e code infinite ai drive-in. Ecco l’altra emergenza. Troppi atti e scartoffie da riempire. Così dilaga pure il virus burocratico

Premessa necessaria da fare. L’impennata di contagi cui stiamo assistendo è preoccupante e non può essere affrontata in maniera superficiale. Secondo il bollettino quotidiano del ministero della Salute, sono stati 4.458 nelle ultime ventiquattro ore, a fronte dei 3.678 nuovi casi registrato due giorni fa: il totale sale così a 338.398. Le vittime di ieri sono 22. Nessuna regione è oggi a zero contagi. I numeri ci condannano: la situazione sta lentamente e progressivamente precipitando. Ecco perché se da una parte è fondamentale rispettare tutte le prescrizioni e gli obblighi impartiti dalle istituzioni, è altrettanto doveroso interrogarsi sulle criticità che ancora restano e che, dunque, bisognerebbe risolvere.

TRAM TRAM. La prima riguarda senza ombra di dubbio il trasporto pubblico. Intendiamoci: bene ha fatto il governo a “reclutare” anche l’esercito al fine di controllare che nei luoghi di inevitabile assembramento (stazioni e fermate degli autobus, metropolitane, e così via) tutti indossino la canonica mascherina. Resta, tuttavia, la domanda: a cosa serve obbligare le persone a essere muniti di dispositivi di protezione se poi non c’è, di fatto, alcun limite all’ingresso nei vagoni della metro o nei pullman? Le immagini che negli ultimi giorni abbiamo visto testimoniano folle oceaniche riempire i nostri mezzi pubblici. Se in estate questo non avveniva per ragioni fisiologiche viste le ferie, ora col ritorno al lavoro e a scuola il problema si è riproposto in tutta la sua gravità. E, così come si è pensato a forze dell’ordine poste a controllo degli accessi per la misurazione della temperatura, qualcosa in più bisognerebbe adesso fare per monitorare gli ingressi su autobus e metropolitane. Altrimenti restiamo in presenza di un cane che si morde la coda, affrontando il problema solo a metà.

FILE CHILOMETRICHE. Altro clamorosa criticità è quella dei drive-in per effettuare i tamponi. Lì devono andare alunni, docenti e famiglie connesse (e poi lavoratori, coniugi, figli e tutti coloro che temono di essere stati a contatto con un caso positivo) per effettuare i test Covid-19. Le cronache dei giorni scorsi sono inverosimili: code fino a 12 ore prima di effettuare il fatidico tampone. E poi? Poi bisogna tornare a casa, mettersi in auto-isolamento, attendere (se va bene) due giorni prima di conoscere il responso e sapere se si è positivi o negativi. Non va meglio a Milano dove la coda può durare fino a otto ore. E così chi ha appuntamenti di lavoro deve farli saltare, chi ha incontri deve annullarli, chi vuole tornare a casa è costretto a pranzare in macchina. Non è un caso che a Fiumicino, ad esempio, il drive-in istituito nel parcheggio lunga sosta, è stato riaperto non solo ai viaggiatori di rientro dai Paesi più a rischio, ma anche a tutti i cittadini in possesso di regolare ricetta del medico di base. Nella speranza possa servire a decongestionare il lungo flusso.

CARTA SU CARTA. Qual è la soluzione che spesso e volentieri si è tirata in ballo? Una documentazione scritta, un’autocertificazione che attesti che non si è stati nei Paesi a rischio o non si è stati a contatto con persone positive. Così si può andare agli eventi pubblici, ai cinema o nei teatri. Con la conseguenza, però, che spesso questa trovata (facilmente aggirabile essendo autodichiarazione) disincentiva il mondo culturale e sociale. Che rischia di patire una crisi ancora più profonda di quella già in atto.