Netanyahu si prende parte della Striscia di Gaza: “La linea gialla è un nuovo confine”

Netanyahu si prende parte della Striscia di Gaza: “La linea gialla è un nuovo confine”. Ira di Hamas: "Vogliono tornare in guerra"

Netanyahu si prende parte della Striscia di Gaza: “La linea gialla è un nuovo confine”

C’è da chiedersi a che gioco stia giocando il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo più stretto entourage che, più che al mantenimento della pace in Medio Oriente – faticosamente raggiunta due mesi fa – sembrano pensare a come riprendere la guerra. Questa volta a far aumentare la tensione non sono stati i soliti raid sulla Striscia di Gaza e in Libano, entrambe aree su cui dovrebbe essere in vigore il cessate il fuoco, ma le incaute parole del capo di Stato maggiore dell’Idf, Eyal Zamir, secondo cui la Linea Gialla, che segna il ritiro delle truppe israeliane da Gaza e divide orizzontalmente in due la Striscia, è da considerare a tutti gli effetti “un nuovo confine” per lo Stato ebraico.

A suo dire, questo ennesimo lembo di terra strappato ai palestinesi costituisce “una nuova linea difensiva” in territorio nemico “per proteggere le nostre comunità”. Dichiarazioni incendiarie, perché lasciano presagire un’annessione parziale, visto che lo stesso Zamir ribadisce che “abbiamo il controllo operativo su ampie zone della Striscia di Gaza e rimarremo qui”.

Com’è facilmente intuibile, è scattata l’immediata reazione di Hamas, con Hossam Badran, membro dell’ufficio politico del gruppo palestinese, che all’Afp ha dichiarato che le parole di Zamir “mostrano il mancato rispetto da parte di Israele dei termini della fase uno del cessate il fuoco” e che la fase due del piano di pace di Donald Trump per Gaza, che secondo il tycoon dovrebbe partire a giorni, “non potrà avere inizio” finché Israele continuerà “a violare l’accordo” e “a sottrarsi ai propri impegni”. Proprio per questo Badran si è rivolto nuovamente alla comunità internazionale, e in particolare ai Paesi arabi, affinché esercitino pressioni su Netanyahu per “salvare la tregua”.

Netanyahu si prende parte della Striscia: “La linea gialla è un nuovo confine”. Ira di Hamas

Parole dure ma comprensibili che hanno spinto gli Stati Uniti, con Trump che secondo i media americani sarebbe furioso con Netanyahu, a mediare nuovamente con Tel Aviv affinché mantenga fede ai patti. Un pressing che avrebbe avuto un primo risultato, visto che Israele ha annunciato che riaprirà il valico di Allenby con la Giordania ai camion di aiuti umanitari diretti a Gaza, chiuso unilateralmente a settembre e che Netanyahu avrebbe dovuto riaprire già a ottobre.

Un piccolo passo che si spera possa riportare la calma nell’area dove, a dispetto di quanto racconti Trump, la strada per giungere a un accordo per la fase 2 del piano di pace è ancora lunga e in salita. Questo perché, come noto, Israele pretende lo smantellamento di Hamas e il successivo disarmo di tutti i suoi combattenti. Un punto su cui resta però la ferma opposizione del gruppo palestinese, che si è limitato a dichiarare di poter rinunciare alle armi pesanti, ma non a quelle leggere, necessarie “per mantenere l’ordine” a Gaza.

A ribadirlo è il leader del movimento palestinese all’estero, Khaled Mashal, secondo cui per “proteggere il progetto di resistenza” non è possibile rinunciare a tutte “le armi”, in quanto queste ultime rappresentano l’ultimo baluardo a “difesa dei diritti del nostro popolo”. Lo stesso leader ha anche respinto qualsiasi forma di “amministrazione fiduciaria e di mandato di occupazione su Gaza, la Cisgiordania e la Palestina”, che invece dovrebbe rappresentare, secondo Trump e Netanyahu, il futuro dell’area.

Blair fatto fuori dal futuro di Gaza

Parole che, secondo quanto riporta il Financial Times, avrebbero convinto il presidente degli Stati Uniti a rivedere la propria strategia rinunciando a Tony Blair che, scrive il quotidiano britannico, “non occuperà una posizione chiave nel consiglio di pace” per Gaza. Ma non è tutto. A complicare i negoziati della fase 2 del piano di Trump c’è l’impossibilità per Hamas di ritrovare il corpo di Ran Gvili, l’ultimo ostaggio israeliano a Gaza, e anche la questione della ricostruzione della Striscia di Gaza, che si preannuncia un’opera titanica.

Stando a quanto riporta il Wall Street Journal, riportando le dichiarazioni del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite che supervisiona la rimozione delle macerie a Gaza, l’enclave palestinese, dopo due anni di brutale guerra, sarebbe coperta da 68 milioni di tonnellate di detriti, equivalenti a circa 186 Empire State Building. Secondo l’ultima valutazione delle immagini satellitari condotta dalle Nazioni Unite e riportata dal prestigioso quotidiano, più di 123 mila edifici nella Striscia di Gaza sono stati distrutti e altri 75 mila danneggiati, pari all’81 per cento di tutte le strutture dell’enclave.

Il Medio Oriente si infiamma

La pace resta appesa a un filo e sembra che perfino i cittadini israeliani si siano assuefatti all’idea che la guerra, in qualche modo, riprenderà. A dirlo è un sondaggio condotto dall’Israel Democracy Institute, centro di ricerca israeliano indipendente, secondo cui il 71 per cento degli israeliani ritiene che le ostilità con il gruppo filo-iraniano Hezbollah in Libano riprenderanno; il 69 per cento pensa che ci sarà un’altra guerra con l’Iran; il 53 per cento è convinto che Israele tornerà a combattere contro il gruppo islamista palestinese Hamas nella Striscia di Gaza.

Una convinzione che trova conferma nelle operazioni militari tuttora in corso nell’enclave palestinese e soprattutto in Libano, dove anche ieri, come avviene da settimane, l’Idf – in barba alla tregua – ha attaccato numerose infrastrutture di Hezbollah.