Non pagare le tasse e dormire tranquilli

Di Fabio Tonacci per Repubblica

I grandi evasori fiscali italiani dormono sereni tra due cuscini. Hanno sul groppone qualcosa come 300 miliardi di euro di tasse non pagate, eppure l’incubo del pignoramento, delle ganasce fiscali, delle ipoteche sui beni, non li riguarda. Vivono molto più tranquilli di chi, per caso o per crisi, ha dimenticato una multa da trenta euro. Perché Equitalia, a loro, non ci arriva. Non può, non ha i mezzi.

E anche quando li sfiora, è troppo tardi: il capitale da aggredire per recuperare il credito dello Stato quasi sempre si è già volatilizzato. Sono centomila i maxi evasori che hanno accumulato col Fisco un debito, secondo una recente stima documentata, superiore a 500mila euro: sono banche, società di assicurazioni, grandi e medie imprese, privati con fortune a 8 zeri che non hanno versato le imposte sui redditi o l’Iva.

Più o meno è come se una città delle dimensioni di Ancona avesse evaso una cifra comparabile a una trentina di manovre finanziarie. Ebbene, di questo tesoro da 300 miliardi Equitalia dal 2006 ad oggi è riuscita a recuperare meno di 10 miliardi. E’ poco più del 3 per cento.

Questa cifra, da sola, racconta lo scarso successo, per non dire fallimento, dell’ente pubblico di riscossione dei tributi, controllato al 51 per cento dall’Agenzia delle Entrate e al 49 per cento dall’Inps. Forte con i deboli, dove è più facile incassare l’aggio della pratica risolta. Debole, debolissimo con i forti. E se il premier Matteo Renzi vuole davvero, come ha annunciato, dichiarare lotta dura ai grandi evasori, deve pensare a come riformare l’intero sistema dell’accertamento e della riscossione, di cui Equitalia è soltanto un ingranaggio.

Perché, è bene chiarirlo subito non è che Equitalia non recuperi i miliardi degli “over 500mila” per scelta politica. È che non ce la fa proprio. È nata nel 2005 raccogliendo l’eredità delle vecchie concessionarie delle banche, che lavoravano poco e male: è impostata come una società privata, per cui deve coprire i costi di funzionamento con l’aggio, ma allo stesso tempo riscuote seguendo le regole pubbliche, dunque si deve necessariamente attivare di fronte a qualsiasi importo.

«E però la legislazione attuale impone di usare gli stessi strumenti – ragiona una fonte qualificata interna a Equitalia – sia che si tratti di recuperare piccole somme, sia quando ci troviamo a dover riprendere crediti milionari. Sono strumenti a volte meno incisivi di quelli a disposizione dei riscossori privati».

Il risultato è riassunto in una tabella, che riporta i dati scorporati dell’attività dell’esattore di Stato. Dall’Agenzia delle entrate sono state trasmesse, dal 2000 al 2014, 70 milioni di richieste di pagamento per imposte sul reddito e Iva evase, per un totale di 550 miliardi. Il 75 per cento riguarda debiti inferiori ai 1.000 euro, e per questi Equitalia funziona: ne ha riscosso il 40 per cento, riportando all’Erario 4 miliardi di euro.

Il 20 per cento sono cartelle con cifre da 1.000 a 10.000 euro, e già si rallenta: ne ha recuperate il 25 per cento, per circa 10 miliardi di euro. Ma è coi crediti superiori ai 10.000 euro (il 5 per cento del totale) che la riscossione si inceppa: mediamente ne riesce a incassare uno su cinque. Se la cifra supera il mezzo milione di euro, la percentuale di recupero scende sotto un irrisorio 2 per cento, nonostante sia in questo “stagno” il grosso dell’evasione fiscale italiana.

Chi viene beccato dall’Agenzia delle Entrate e si ritrova il proprio nome iscritto a ruolo, spesso mette in atto dei diversivi per evitare di dare quanto dovuto: dal fallimento preordinato, ai ricorsi alla giustizia tributaria, fino al diffusissimo metodo della sottrazione fraudolenta dei beni alla riscossione (col trasferimento all’estero o mediante intestazioni fittizie).

Non è un caso che sui circa 700 miliardi di crediti di tutti i tipi affidati a Equitalia (dall’Agenzia delle Entrate, dall’Inps e dagli enti locali) l’80 per cento si riferisca a soggetti falliti o apparentemente nullatenenti. «La riscossione presupporrebbe indagini più approfondite – spiega ancora la fonte – nonché la collaborazione della Guardia di Finanza e la possibilità di controllare i conti correnti ». Altrimenti Equitalia rimarrà sempre, con i forti, un’arma spuntata.