Nozze gay: le fiction sono avanti

di Gianluca Schiavone

Dici “omosessualità” ed è subito lustrini, pietismo, movenze alla Shakira e commenti sull’ultima sfilata autunno/inverno della linea Just Cavalli. Il festival del clichè, l’apoteosi dell’ovvio, il tripudio di immagini fuorvianti abbinate con ricercata idiozia a concetti che non stanno neanche in piedi. A guardare brutalmente in faccia la realtà, ancora oggi, nel 2014, a valle di anni di lotte ideologiche e di conquiste faticate, tocca ammettere che una buona fetta della società tende a trattare la faccenda con la mano pesante del pregiudizio e l’atteggiamento talebano del “io non ci vedo nulla di male, basta che se ne stiano a casa loro”.
Il finto atteggiamento di apertura dietro cui si trincerano i più, la maschera del “ognuno è libero di amare chi vuole” indossata spesso e volentieri a sproposito, l’ipocrisia del “amo i gay perché sono sensibili”, non aiutano, non fanno bene alla causa.

COME I PANDA
Trattare gli omosessuali come la categoria a parte, come la frangia debole della popolazione, come quelli sempre vessati a dispetto degli eterosessuali sempre spietati, insomma, come i panda in via di estinzione per cui ognuno deve scomodare il suo animo compassionevole e sganciare la monetina della solidarietà per sentirsi figo e moderno, è una cattiveria gratuita, oltre che un’offensiva perdita di tempo. Se siamo davvero d’accordo sul fatto che le persone vanno trattate come persone e non in base al loro orientamento sessuale, allora bisogna rieducarsi e imparare a fare i conti con la realtà: essere omosessuali non rende necessariamente sensibili o creativi; essere eterosessuali non comporta avere un codice genetico universale improntato alla discriminazione e alle battute da spogliatoio; la diversità non è sempre una ricchezza, ma quando lo è, va coltivata e difesa.

L’ESEMPIO DEI CESARONI
Il modo in cui la tv italiana si approccia all’omosessualità rispecchia le discrepanze che viaggiano sotto traccia nel tessuto sociale del Paese. C’è la madrina del salotto pomeridiano che fa del pietismo il suo cavallo di battaglia e che, pensando di essere all’avanguardia, in realtà non fa altro che alimentare la ghettizzazione. Sul versante fiction, invece, qualcosa si sta smuovendo.
Sulla scia dei cugini americani che già da anni hanno sdoganato l’argomento con serie tv a tinte LGBT e con una presenza quasi costante dell’amore omosessuale nelle trame di colossi del piccolo schermo come Grey’s Anatomy o Revenge, i produttori/registi di serie cult italiane come Squadra Antimafia e i Cesaroni si stanno mettendo al passo. In particolare, i beniamini della Garbatella hanno fatto una scelta saggia e sacrosanta: mostrare la vita quotidiana di una coppia gay in carriera da un punto di vista semplice, ruspante, senza filtri o inutili sovrastrutture, senza pistoloni pedagogici non richiesti, senza la saccente pretesa di mettersi sul piedistallo a raccontare con fare chirurgico un fenomeno da laboratorio. La semplicità paga, la naturalezza avvicina, la generosità unisce, la realtà fatta di bollette da pagare e di baci della buonanotte nel lettone del bilocale romano vince a tavolino. Il pubblico tricolore si mostra pronto e parecchio curioso di capire quello che ancora non conosce. Buona visione, e che la tv ce la mandi buona.