Obbligo vaccinale per i sanitari, per la Consulta è legittimo

La Corte Costituzionale ha depositato oggi tre sentenze riguardanti l'obbligo vaccinale imposto al personale sanitario.

Obbligo vaccinale per i sanitari, per la Consulta è legittimo

Con una sentenza depositata oggi, che ha come redattore Filippo Patroni Griffi, la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, concernente l’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da Covid per il personale sanitario.

La Corte Costituzionale ha depositato oggi tre sentenze riguardanti l’obbligo vaccinale imposto al personale sanitario

Come anticipato con il 1° dicembre scorso, la Consulta ha ritenuto “che la scelta assunta dal legislatore al fine di prevenire la diffusione del virus, limitandone la circolazione, non possa ritenersi irragionevole né sproporzionata, alla luce della situazione epidemiologica e delle risultanze scientifiche disponibili”.

“In continuità con la propria giurisprudenza in materia di trattamenti sanitari obbligatori – si legge nella nota diffusa dalla Consulta -, la Corte ha ribadito innanzitutto che l’articolo 32 della Costituzione affida al legislatore il compito di bilanciare, alla luce del principio di solidarietà, il diritto dell’individuo all’autodeterminazione rispetto alla propria salute con il coesistente diritto alla salute degli altri e quindi con l’interesse della collettività”.

“Il legislatore ha tenuto conto dei dati forniti dalle autorità scientifico-sanitarie, nazionali e sovranazionali”

In applicazione di questi princìpi, la Corte ha giudicato “non fondati i dubbi di costituzionalità prospettati dal giudice rimettente: di fronte alla situazione epidemiologica in atto, infatti, il legislatore ha tenuto conto dei dati forniti dalle autorità scientifico-sanitarie, nazionali e sovranazionali, istituzionalmente preposte al settore, quanto a efficacia e sicurezza dei vaccini; e, sulla base di questi dati scientificamente attendibili, ha operato una scelta che non appare inidonea allo scopo, né irragionevole o sproporzionata. Come emerge dall’analisi comparata, del resto, misure simili sono state adottate anche in altri Paesi europei”.

Nella sua pronuncia, in particolare, la Corte ha chiarito – sempre in linea con la propria giurisprudenza – “che il rischio remoto, non eliminabile, che si possano verificare eventi avversi anche gravi sulla salute del singolo, non rende di per sé costituzionalmente illegittima la previsione di un trattamento sanitario obbligatorio, ma costituisce semmai titolo all’indennizzo”.

“Non può, pertanto, condividersi – si legge nella motivazione della sentenza -– la lettura che il Collegio rimettente dà della giurisprudenza di questa Corte, la quale ha, per contro, affermato che devono ritenersi leciti i trattamenti sanitari, e tra questi le vaccinazioni obbligatorie, che, al fine di tutelare la salute collettiva, possano comportare il rischio di ‘conseguenze indesiderate, pregiudizievoli oltre il limite del normalmente tollerabile’ (sentenza numero 118 del 1996)”.

Quanto, infine, alla censura di contraddittorietà di una disciplina che impone il consenso a fronte di un obbligo vaccinale, la Corte ha rilevato che “l’obbligatorietà del vaccino lascia comunque al singolo la possibilità di scegliere se adempiere o sottrarsi all’obbligo, assumendosi responsabilmente, in questo secondo caso, le conseguenze previste dalla legge”.

“Qualora, invece, il singolo ­– continua la sentenza – adempia all’obbligo vaccinale, il consenso, pur a fronte dell’obbligo, è rivolto, proprio nel rispetto dell’intangibilità della persona, ad autorizzare la materiale inoculazione del vaccino”.

Sempre la Corte costituzionale con un’altra sentenza depositata oggi (redattore Augusto Antonio Barbera), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità, laddove, in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale, “non si limita la sospensione dall’esercizio della professione sanitaria a quelle sole prestazioni o mansioni che implicano contatti personali o che comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del Covid-19”.

Il Tar Lombardia, chiamato a decidere un ricorso di una psicologa che, a causa dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale, era stata sospesa dall’esercizio della professione, aveva dubitato “della legittimità costituzionale della citata norma, ritenendola in contrasto con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, di cui all’articolo 3 della Costituzione”.

In caso di omessa vaccinazione, infatti, “la disposizione censurata estenderebbe irragionevolmente il divieto di svolgere la professione sanitaria a tutte le attività che richiedono l’iscrizione ad albi professionali, anche se dette attività non comportano alcun rischio di diffusione del COVID-19, potendo essere svolte da remoto, mediante l’utilizzo di strumenti telematici e telefonici”.

“Le questioni sono state dichiarate inammissibili in ragione di un preliminare profilo processuale, che ha escluso una valutazione nel merito delle stesse: il difetto di giurisdizione del tribunale amministrativo regionale che le ha sollevate. Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione – che è l’unico giudice competente a decidere sulla giurisdizione – appartiene alla cognizione del giudice ordinario la controversia in cui viene in rilievo un diritto soggettivo – nel caso, quello ad esercitare la professione sanitaria – non intermediato dall’esercizio del potere amministrativo”.

“La sospensione dall’esercizio della professione sanitaria – scrive ancora la Consulta – discende automaticamente dall’accertato inadempimento dell’obbligo vaccinale, imposto come requisito essenziale dalla legge. La competenza sulle relative controversie è, dunque, del giudice ordinario, non di quello amministrativo”.

L’obbligo vaccinale non è sostituibile con i tamponi

Con una terza sentenza, depositata sempre oggi (redattore Stefano Petitti), ha stabilito, infine, “che la previsione, per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 anziché di quello di sottoporsi ai relativi test diagnostici (c.d. tampone), non ha costituito una soluzione irragionevole o sproporzionata rispetto ai dati scientifici disponibili”.

“Il sacrificio imposto agli operatori sanitari – si legge nella nota della Corte Costituzionale – non ha ecceduto quanto indispensabile per il raggiungimento degli scopi pubblici di riduzione della circolazione del virus, ed è stato costantemente modulato in base all’andamento della situazione sanitaria, peraltro rivelandosi idoneo a questi stessi fini”.

“La mancata osservanza dell’obbligo vaccinale ha riversato i suoi effetti sul piano degli obblighi e dei diritti nascenti dal contratto di lavoro, determinando la temporanea impossibilità per il dipendente di svolgere mansioni implicanti contatti interpersonali o che comportassero, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio”.

La sentenza, dunque, ha ritenuto “non contraria ai principi di eguaglianza e di ragionevolezza anche la scelta legislativa di non prevedere, per i lavoratori del settore sanitario che avessero deciso di non vaccinarsi, un obbligo del datore di lavoro di assegnazione a mansioni diverse, a differenza di quanto invece stabilito per coloro che non potessero essere sottoposti a vaccinazione per motivi di salute o per il personale docente ed educativo della scuola. La Corte ha considerato tale scelta giustificata dal maggior rischio di contagio, sia per sé stessi che per la collettività, correlato all’esercizio delle professioni sanitarie”.

La sentenza, infine, ha deciso che quanto previsto dalle norme censurate – secondo cui al lavoratore che avesse scelto di non sottoporsi alla vaccinazione non erano dovuti, nel periodo di sospensione, la retribuzione né altro compenso o emolumento – ha giustificato anche la non erogazione al dipendente sospeso di un assegno alimentare in misura non superiore alla metà dello stipendio. La Corte, infatti, ha ritenuto non comparabile la posizione del lavoratore che non ha inteso vaccinarsi con quella del lavoratore del quale sia stata disposta la sospensione dal servizio a seguito della sottoposizione a procedimento penale o disciplinare, casi questi ultimi in cui l’assegno alimentare può essere erogato.

In particolare, la Corte ha escluso che fosse costituzionalmente obbligata la soluzione di porre a carico del datore di lavoro l’erogazione solidaristica di una provvidenza di natura assistenziale in favore del lavoratore che non avesse inteso vaccinarsi e che fosse, perciò, temporaneamente inidoneo allo svolgimento della propria attività lavorativa.