Panicucci, una cinica macchina da guerra

di Monica Setta

Vade retro maligni che sparlate di lei dicendo che è falsa e arrivista, state lontani da me, stavolta potrei reagire davvero molto male. Eh sì, perché io sono una sincera estimatrice di Federica Panicucci, delle sue chiome bionde, del suo fascino inquieto e selvaggio che dimostra come la serenitá della notte possa trasformarsi, a volte, in malinconia. Amo pazzamente i suoi abiti colorati, due file di bottoni in madreperla, nastro di raso con decorazioni nella cintura, come ultime piume di un cuscino celestiale. La prima volta che l’ho incontrata – avevo chiesto io stessa di essere invitata nelle sue trasmissioni e l’amico Lucio Presta aveva intercesso per me presso di lei con istantaneo successo – mi era apparsa quasi una gazzella pronta a circuire lo spazio con quelle gonne bianche dai profili marron glacés, un sapore di pomeriggio d’inverno in città dove la quiete si alterna alla fantasia più romantica. Allora, mi gettò metaforicamente le braccia al collo, mi accolse nel salotto ovattato della sua Domenica come si fa con un amico più sfortunato che ha perso le luci della ribalta come conduttrice di punta della scuderia Rai e adesso deve consolarsi con qualche ospitata di “compensazione” per dimostrare al mondo che Dio mio, non sono ancora morta, anzi, sopravvivo e lotto più o meno insieme al resto della miserabile umanità televisiva. Per sei mesi, l’anno scorso, ho fatto la spola fra Roma e Milano, alzandomi all’alba per raggiungere Cologno monzese e omaggiare la divina padrona di casa del mitologico Mattino 5 raccogliendo complimenti sul look, sul trucco e sulla mia “preparazione” (e però fa piacere accorgersi che qualcuno apprezza il tuo curriculum vitae e si chiede, premuroso: come mai dopo La Voce di Indro Montanelli sei finita nel salottificio semi trash del piccolo schermo?) Mesi faticosi, lo ammetto, perché resistere alla corte di Federica, imperatrice Mediaset, è tutt’altro che facile. Intanto, lei studia, divora quotidiani, agenzie, afferra indiscrezioni come la più astuta e navigata delle croniste. E pretende dai suoi ospiti, oltre che fisiologica devozione, anche dignità e status. La sua corte – il suggerimento è del magico Presta – non deve mai sconfinare nel general generico o nella volgarità acchiappashare, ma rimanere così un po’ sospesa e aerea, a metà strada fra le vecchie glorie, i giornalisti ever green e gli “utili idioti” ossia gli esperti di psicologia, tuttologia, gossip in chiave dietrologica, attualità formato light. Ho adorato il camerino della Panicucci – i cuscini leopardati con la sua effige, la collezione di bijoux, gli accessori impilati su scatole di zucchero, il frigobar con la flûte in bella mostra, il cagnolino con il collare di strass- sono stata perdutamente innamorata della sua affettuosa magnanimità verso quei vip parzialmente in disarmo che lei sapeva coccolare, valorizzare, perfino rilanciare. Poi, un giorno qualsiasi, mi sono disamorata. No, non perché aveva cominciato a dimenticarsi di me nelle presentazioni o a diradare gli inviti. È che l’ho scoperta umorale, meno leziosa dell’apparenza (che sempre inganna) più solida e tormentata, più viscerale, vera.  L’anno scorso era la regina e aveva due programmi, poi la sua eterna rivale Barbara D’Urso si ė ripresa la Domenica lasciando Federica più sola e meno illuminata. Non deve averla presa bene, malgrado i sorrisi e le manifestazioni di disinvolta indifferenza, lo comprendo. Di volta in volta mi è sembrata meno convinta nell’operazione-felicità, più cupa. La vedevo e mi intristivo, mi immedesimavo e ci soffrivo. Per evitare il supplizio, chiesi di poter partecipare da Roma (l’avrei vista meno in carne e ossa) anche rinunciando al compenso, con una liberatoria gratuita vantaggiosa per i conti in profondo rosso di Mediaset. Ma suppongo che non me l’abbia perdonata. I suoi amici, quelli veri, a Cologno continuavano ad andarci facendo levatacce e truccandosi in treno con Samantha de Greneth e Angela Melillo. Ecco, quella era sincera amicizia, la mia no. Federica su certe cose (tipo la profondità della devozione) ė intransigente perché è donna compiuta, solida, eccezionale. Io sono meno affidabile, scusami Fede, se mi viene la nostalgia fuggo. La tristezza poi, non la sopporto più.