di Angelo Perfetti
Uno degli aspetti che più spaventa la gente è quello di pensare che rimettere in circolazione delinquenti non potrà che aumentare il numero dei reati possibili. Eppure le statistiche ci raccontano che il 70% di chi è recidivo nel comportamento delinquenziale viene dall’aver scontato l’intera pena in carcere. Di gran lunga minore (appena il 2%) è invece la percentuale di chi, avendo usufruito di pene alternative e sconti, indulto compreso, ricomincia a delinquere. Ancora una volta, al di là dei giudizi “di pancia”, sono i freddi numeri a darci la misura di cosa sia meglio per il Paese. Certo il discorso è complesso. Inutile indulto o amnistia se poi entro breve le scrivanie dei giudici si riempissero di nuovo di faldoni, inutile pensare a un reinserimento se la socità non è in grado – com’è oggi – di offrire un lavoro. Non è inutile, però, pensare di mettere mano al problema. Iniziando da qualche parte, sia pure dall’indulto o dall’amnistia, per poi passare alla riforma della Giustizia e alla riorganizzazione economico-sociale della nazione. E nessuno venisse a parlare di compito gravoso: la politica, se esercitata correttamente, trae vita esclusivamente dalla necessità (e dalla capacità) di risolvere proprio questo tipo di problemi.
Il risparmio economico
“Rafforzare la via delle pene alternative significa poter arrivare a un risparmio di oltre un miliardo di euro l’anno, cui si aggiunge l’abbattimento della recidiva di oltre sessanta punti” spiega Edoardo Patriarca, presidente del Centro nazionale per il volontariato (Cnv). “Oggi un detenuto costa circa 150 euro al giorno; in comunità, se introdotto in percorso alternativi di recupero, il costo scende a 50 euro. Un risparmio di 36.500 euro l’anno per ciascun detenuto – prosegue – ebbene, istituzionalizzando le pene alternative, con il coinvolgimento di trentamila detenuti attualmente reclusi si arriverebbe a risparmiare oltre un miliardo”.
Recidiva e reinserimento
In questo contesto si abbatterebbe anche la recidiva. “In assenza di misure alternative il tasso di recidiva nel primo triennio è dell’80%, ma quando si adottano misure alternative la percentuale scende al 20%. Riconoscere questo percorso significa quindi abbattere la recidiva di 60 punti. L’obiettivo che ci poniamo – spiega il presidente Cnv – è di mettere a sistema proposte, saperi ed esperienze: l’unione di azioni virtuose permette di favorire l’accoglienza, l’educazione e il reinserimento. Limitarsi a sottrarre i detenuti al sistema penale non ci permetterebbe di guardare oltre. Per questo è necessario investire nelle esperienze alternative. Tutto questo risolverebbe anche i problemi legati alla polizia penitenziaria, che oggi lamenta di essere in sotto organico”.
Le contraddizioni
Del resto i dati fotografano una situazione apparentemente contraddittoria: se da una parte si certifica la diminuzione progressiva di reati dal dopoguerra ad oggi, dall’altra ci troviamo di fronte all’aumento fuori misura dei detenuti all’interno degli istituti penitenziari. “Un incremento dovuto anche agli effetti di norme come la Bossi-Fini, la Fini-Giovanardi e la ex Cirielli. Leggi che ‘producono’ carcere senza rispondere ai reali bisogni. E’ anche per questo che è necessario rivedere sia queste norme sia il catalogo dei reati” conclude Patriarca, preannunciando che Cnv, Seac e Conferenza nazionale volontariato e giustizia, insieme alle associazioni e alle organizzazioni non profit che operano nel settore carcere, hanno avviato un percorso per arrivare alla redazione di una proposta di legge.
Le pene alternative
Ma quali sono le pene alternative tanto inveocate? Dal lavoro esterno all’affidamento ai servizi sociali, dai domiciliari alla libertà controllata. In tutto 23 possibilità diverse per evitare di finire la pena nelle patrie galere, comprendenti anche l’indulto e l’amnistia.
Lo svuota carceri non basta
Il Decreto Carceri, più noto come svuota carceri, è in vigore dal 3 luglio 2013 (Decreto Legge 1° luglio 2013, n. 78 convertito in Legge 9 agosto 2013, n. 94 pubblicata in Gazzetta Ufficiale 19 agosto 2013, n. 193); contiene disposizioni tese a fornire una prima risposta al problema del sovraffollamento penitenziario e a sanare una situazione che espone il nostro Pease alle reiterate condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. L’intervento aveva l’obiettivo di favorire la decarcerizzazione degli autori di reati di modesta pericolosità sociale, anche se recidivi, fermo restando il ricorso al carcere nei confronti dei condannati per reati di particolare gravità. Dunque più spazio al lavoro esterno, all’affidamento ai servizi sociali, ai domiciliari. Considerando altresì che la situazione di difficoltà “strutturale” del nostro sistema carcerario non può essere affrontata unicamente attraverso interventi di carattere normativo e che pertanto è indispensabile che si proceda alla realizzazione di nuovi istituti penitenziari ed al miglioramento strutturale di quelli esistenti, lo svuota-carceri prevedeva la figura del Commissario straordinario per le carceri, a cui sono stati conferiti compiti ben definiti ed orientati a raggiungere tali obiettivi nel più breve tempo. Un’impresa evidentemente ancora lontana dall’essere realizzata. E la Corte di Strasburgo ci ha imposto la scadenza del maggio 2014 per la soluzione definitva del problema del sovraffollamento delle carceri. Un tempo esiguo per non ricorrere all’amnistia.