Pioggia di miliardi a Rosneft. Il dossier Trump scuote Intesa. Nell’operazione sarebbero intervenuti intermediari americani

Pioggia di miliardi a Rosneft. Il dossier Trump scuote Intesa. Dalla nostra banca miliardi per il colosso russo

di Stefano Sansonetti

Sono cinque righe, riportate a pagina 30 del più corposo rapporto ormai diventato celebre come “dossier Trump”. Ma sono cinque righe “pesanti”, praticamente passate inosservate in Italia, che chiamano indirettamente in causa Intesa Sanpaolo. E rischiano di mettere in imbarazzo la banca guidata da Carlo Messina. Per capirne il riferimento bisogna inquadrare il contesto. Il “dossier Trump”, elaborato da un ex 007 inglese, dimostrerebbe le relazioni esistenti tra Donald Trump e il Cremlino nei mesi che hanno preceduto le elezioni alla Casa Bianca. Il rapporto è diventato famoso per i presunti aspetti boccacceschi legati alla vita privata del nuovo presidente americano. E più in generale deve essere preso con le pinze. Contiene però tanti altri passaggi economicamente interessanti, che ancora suscitano l’attenzione dei servizi segreti di mezzo mondo.

Il punto -Ma cosa c’entra Intesa? Bisogna partire dalla privatizzazione di una fetta importante di Rosneft, il colosso petrolifero russo, perfezionatasi in tempi recenti. E’ proprio ai retroscena di questa operazione che fa riferimento il passaggio a pagina 30 del rapporto. Qui si parla di un incontro avvenuto a Mosca, i primi giorni di luglio 2016, tra Igor Sechin, numero uno di Rosneft, e Carter Page, all’epoca consulente di politica estera di Trump. Riferendo confidenze di uno stretto collaboratore di Sechin, lo 007 inglese scrive che “il presidente di Rosneft desiderava che venissero cancellate le sanzioni contro di lui e la società petrolifera, a tal punto da offrire ai sodali di Page e Trump l’intermediazione di più del 19% di Rosneft”. Page, dal canto suo, “aveva espresso interesse confermando che se Trump fosse stato eletto le sanzioni sarebbero state cancellate”. Dopodiché il dossier continua dicendo che a un certo punto Sechin ha cominciato a dubitare della possibilità che Trump potesse arrivare alla Casa Bianca, cosa in realtà poi avvenuta. Ma non c’è dubbio che il retroscena sulla cessione di una fetta di Rosneft fa riflettere. E qui entra in scena Intesa Sanpaolo, non citata direttamente dal dossier Trump ma in qualche modo tirata in ballo dal documento. Si dà infatti il caso, come sin troppo sbrigativamente riportato dalla stampa italiana, che nel gennaio di quest’anno la banca guidata da Carlo Messina abbia erogato la bellezza di 5,2 miliardi di euro per finanziare i compratori del 19,5% di Rosneft. Questi compratori rispondono al nome di Qia, il fondo sovrano del Qatar, e di Glencore, il colosso minerario anglosvizzero. Possibile che questi ricchi colossi non avessero soldi da mettere per l’operazione? Queste e altre domande erano state poste dalla stampa inglese, sicuramente in modo interessato (visti gli interessi anglosassoni).

Punture di spillo – La Reuters (vedi La Notizia del 26 gennaio scorso), dopo aver premesso che il 19,5% di Rosneft è stato valutato 10 miliardi di euro, e dopo aver ricordato che Qia aveva messo sul piatto 2,5 miliardi, Glencore 300 milioni e Intesa 5,2 miliardi, si chiedeva chi avesse pagato la parte restante della cifra. In più, ricordando che i soldi sono finiti alla QHG Shares, ovvero a una joint venture costituita tra Qia e Glencore con sede a Singapore, aveva rivelato che “secondo i pubblici registri la proprietà della struttura in ultima analisi vede coinvolta anche una società delle Isole Cayman, i cui beneficiari non possono essere tracciati”. Da qui la domanda: chi sono i beneficiari ultimi dell’erogazione? Il Financial Times (vedi La Notizia del 18 gennaio) aveva indicato nella banca russa Vtb, anch’essa destinataria di sanzioni, il primo finanziatore dell’operazione, a cui sarebbe poi subentrato l’istituto di credito italiano. Il tutto per il sospetto di una finta privatizzazione di Rosneft. Adesso ci si mette il dossier Trump, secondo il quale su quella cessione, il cui acquisto è stato finanziato da Intesa, potrebbe essere stata pagata una super intermediazione a beneficio di emissari Usa. Sul punto Intesa, sondata da La Notizia, ha sempre detto di aver agito nel più totale rispetto delle regole, ma di non poter aggiungere dettagli a causa delle clausole di “confidentiality”. Certo è che il mistero rimane.

Twitter: @SSansonetti