A fine maggio 2025 solo il 44% degli 8,5 miliardi di euro messi a disposizione dal Pnrr per la ricerca era stato effettivamente speso. È questo uno dei dati più significativi emersi dalla quinta edizione della “Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia”, presentata a Roma presso la sede centrale del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr). Il rapporto, realizzato dal Dipartimento di scienze umane e sociali e patrimonio culturale (Cnr-Dsu), offre una fotografia aggiornata del sistema italiano della scienza e della tecnologia, mettendo in luce progressi, criticità e prospettive future.
Secondo il documento, gli investimenti della Missione 4 del Pnrr – “Dalla ricerca all’impresa” – hanno finora prodotto un impatto occupazionale importante: oltre 12.000 nuovi ricercatori assunti, il 47% dei quali donne. Tuttavia, gran parte dei fondi (circa il 60%) è stata destinata al personale, sollevando dubbi sulla sostenibilità a lungo termine. Il Cnr avverte che, in assenza di misure strutturali, il rischio è che le competenze acquisite vadano disperse una volta terminati i finanziamenti europei.
La Relazione, frutto della collaborazione tra Cnr-Irpps, Cnr-Ircres e Cnr-Issirfa, con il contributo dell’Area Studi Mediobanca, sottolinea come l’Italia resti indietro rispetto ai partner europei per spesa pubblica in ricerca, numero di laureati e capacità di attrarre talenti dall’estero. L’età avanzata del corpo docente e la scarsa mobilità accademica contribuiscono a un sistema che fatica a rinnovarsi, mentre il calo demografico aggrava ulteriormente il quadro.
Pnrr, il Cnr: speso solo il 44% dei fondi per la ricerca. “Servono misure strutturali per il futuro”
Il Cnr mette in evidenza anche i limiti del sistema di valutazione della ricerca (VQR e Abilitazione Scientifica Nazionale), che da un lato ha incentivato la produttività scientifica, ma dall’altro ha favorito una crescente standardizzazione delle pratiche accademiche, con rischi per la qualità reale dei risultati. Sul fronte dell’innovazione, l’Italia mantiene una posizione solida nei settori manifatturieri tradizionali, ma resta debole nelle tecnologie emergenti come intelligenza artificiale, biotecnologie e digitale.
Un segnale incoraggiante arriva dalla parità di genere: nei bandi PRIN 2022 e PRIN-PNRR 2022, le donne rappresentano il 41,3% dei Principal Investigator. Tuttavia, le disparità nei settori STEM restano significative e richiedono politiche mirate. Anche la partecipazione italiana ai programmi del Consiglio Europeo della Ricerca (ERC) mostra luci e ombre: alto il numero complessivo di progetti, ma pochi grant senior e una forte concentrazione geografica.
Nel complesso, il Cnr invita a un’integrazione più stretta tra ricerca pubblica, università e politiche industriali. Solo così, avverte il rapporto, l’Italia potrà consolidare i risultati del Pnrr, garantendo continuità occupazionale e rafforzando la propria sovranità tecnologica in un contesto internazionale sempre più competitivo.