Primo maggio, vietato lavorare per i sindacati

di Sergio Patti

Il dibattito è aperto da alcuni anni. Il lavoro cambia e per settori come il commercio questo cambiamento significa più ore di apertura al pubblico. Quante ore? Sempre. Se si vuole stare sul mercato bisogna andare verso le nuove abitudini. Nell’alimentare non si fa più la spesa giorno per giorno, ma si fanno grandi scorte una o poche volte al mese. Il prezzo da pagare è tenere i negozi o le attività commerciali in genere aperte il più possibile. Se serve anche a Natale e Capodanno. Vivessimo tempi di vacche grase, il sistema funzionerebbe anche bene ricorrendo al turn over, facendo assunzioni mirate, rotando il personale che c’è. Ma siccome la crisi è sotto gli occhi di tutti, le aziende sono costrette a restare aperte per non perdere quote di fatturato e contemporaneamente il personale deve sobbarcarsi di turni supplementari, anche nei giorni festivi.

 

Non è peccato

Se lavorare nel giorno del Signore è inaccettabile per la Chiesa, i sindacati sono oggi più prosaici e tolleranti. Accordi importanti sono stati sottoscritti nel tempo e nelle grandi città i centri commerciali sono aperti ormai quasi tutte le domeniche e in molte festività civili e religiose. Quella che sembrava dover essere l’eccezione nel tempo così è diventata la regola e oggi migliaia di lavoratori spingono per la chiusura delle catene commerciali nei fine settimana. Un movimento che è arrivato a proclamare uno sciopero per il 25 aprile scorso e domani, Primo maggio, in modo da sostenere quei dipendenti precettati dalle aziende che non hanno la forza sufficiente per opporsi alla chiamata. D’altra parte, al di la del valore simbolico del Primo maggio, ormai il lavoro domenicale è un fatto acquisito, soprattutto nelle grandi città d’arte e a vocazione turistica. Bar, ristoranti, negozi delle strade dello shopping non chiudono mai. E perchè dovrebbero se il momento migliore per gli affari sono proprio quei giorni di festa in cui tutti partono e nelle località prescelte si aspettano di trovare i servizi necessari per passare una bella vacanza? In tempi di magra lavorare è un lusso, sostengono le associazioni della grande distribuzione e dei centri commerciali, diventati le grandi piazze del nuovo secolo. Luoghi dove ormai si va non solo per comprare, ma anche per socializzare o semplicemente passare del tempo. Vogliamo togliere questa possibilità a chi ne ha bisogno?

Diritti e abusi

In realtà dietro la legittima esigenza delle grandi catene commerciali di restare aperte più giorni possibile, e soprattutto nei fine settimana o nei giorni di festa, quando la gente ha più tempo per fare gli acquisti, si nascondono anche gli abusi. Ci sono imprese che obbligano i dipendenti a turni domenicali continui, altre che non pagano un extra per queste prestazioni. E c’è chi mette il personale con le spalle al muro: se lavori sempre sei dentro, se non sei disponibile nei festivi c’è la strada del licenziamento. Un attegiamento che diventa sempre più diffuso, di pari passo con le chiusure dei negozi, l’aumento della disoccupazione, l’emergere del bisogno di lavoro.

Renzi story

Proprio sulla possibilità di lavorare il Primo maggio fece una delle sue prime grandi uscite nazionali l’allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi. Era il 2011 e già allora il futuro premier predicava la libertà di aprire i negozi il Primo maggio, a Pasqua, il 25 aprile e in ogni altra festa. A una delegazione di commessi dei negozi cittadini che andò in consiglio comunale per chiedere il rispetto della festa dei lavoratori Renzi spiegò che c’è da lavorare sempre e comunque per superare la crisi aumentando le vendite. E la risposta che lasciò i manifestanti senza parole fu che si doveva lavorare perchè il Primo maggio non è la festa dei lavoratori, ma la festa della libertà di lavorare o non lavorare. “Continuiamo a pensare – disse – che il Primo maggio sia una festa di libertà quindi è giusto che chi vuol restare aperto stia aperto e chi vuole chiudere chiuda. Allo stesso modo chi vuole lavorare deve poter lavorare e chi preferisce non farlo è giusto che non lavori”. Soprattutto i commessi dei negozi del centro di Firenze non la presero troppo bene. Ma i fatturati degli esercizi ne beneficiarono. E se molti di loro non hanno perso il posto nonostante l’aggravarsi della crisi forse lo devono anche a questo.