Stop alla Procura di Roma. La nomina di Prestipino è illegittima. Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso presentato dall’erede di Pignatone e dal Csm

Dopo la decisione del Tar che a febbraio aveva annullato la nomina di Michele Prestipino anche il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso presentato dall'erede di Pignatone.

Stop alla Procura di Roma. La nomina di Prestipino è illegittima. Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso presentato dall’erede di Pignatone e dal Csm

Dopo lo scandalo degli incontri carbonari orditi dall’ex pm Luca Palamara, sembra non esserci pace per la Procura della Capitale. Dopo la decisione del Tar che a febbraio ha annullato la nomina di Michele Prestipino (nella foto) a procuratore capo di Roma (leggi l’articolo), ieri è arrivata la doccia fredda sia per il magistrato che per il Consiglio superiore della magistratura che si sono visti respingere l’appello presentato davanti al Consiglio di Stato contro la sentenza del tribunale amministrativo del Lazio. Tar che lo scorso 16 febbraio aveva accolto il ricorso presentato dal procuratore generale di Firenze, Marcello Viola.

Con questa decisione, si riapre definitivamente la corsa al ruolo di erede di Giuseppe Pignatone che sembrava ormai chiusa dopo aver infiammato, letteralmente per mesi, i corridoi di Palazzo dei Marescialli. Secondo i giudici, il magistrato Viola è stato escluso immotivatamente dalla corsa al vertice della Procura di Roma per due distinti e importanti motivi. Il primo è che la Quinta Commissione del Csm, inizialmente aveva inserito il procuratore generale di Firenze tra i papabili per ricoprire il ruolo di procuratore capo della Capitale, salvo cambiare idea dopo la deflagrazione dello scandalo Palamara quando l’organo di autogoverno delle toghe decideva di annullare tutto per far ripartire da zero l’intera pratica.

A questo punto la stessa Commissione, oltre a ritornare sui propri passi, per i giudici ha immotivatamente escluso Viola dalla rosa di nomi dei candidati da proporre al plenum. Il secondo motivo, invece, fa riferimento a una questione di merito perché il Csm, sempre secondo il Consiglio di Stato, nel valutare i magistrati Prestipino e Viola avrebbe comparato in maniera illegittima le rispettive attitudini direttive, per giunta senza tenere in considerazione i ruoli dei due contendenti.

Prestipino era il procuratore aggiunto a capo del pool antimafia mentre Viola ricopriva – e ricopre tutt’ora – l’incarico di procuratore generale di Firenze. Quel che è certo è che sulla corsa alla guida della Procura di Roma, incombe anche un ulteriore ricorso. Domani, infatti, il Consiglio di Stato tornerà sul caso per trattare la domanda di sospensione presentata da Prestipino contro l’altra sentenza del Tar che aveva accolto il ricorso del procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi.

Una determinazione che a Palazzo dei Marescialli attendono con impazienza perché solo allora la Quinta Commissione del Csm riesaminerà tutta la vicenda alla luce delle sentenze pronunciate per poi effettuare una nuova proposta, per il ruolo di procuratore di Roma, da sottoporre al voto del plenum. Difficile pronosticare cosa succederà perché le opzioni in campo sono sostanzialmente due: riconfermare la proposta a favore di Prestipino sulla base di più solide motivazioni oppure riaprire l’intera procedura per selezionare fino a tre candidati.

RESTANO I DUBBI. Insomma la partita è più aperta che mai. Del resto che le cose stessero così lo si intuiva già dalla decisione del Tar con cui è stata annullata la nomina di Prestipino. Nell’ordinanza si leggeva che la procedura di conferimento dell’incarico sarebbe “stata viziata a monte dalla carenza di motivazione” nell’escludere Viola il quale, prima del deflagrare dello scandalo degli incontri carbonari tra toghe e politiche, era considerato il favorito.

Per questo il Tar ritiene che “le ragioni in base alle quali l’organo deliberante, procedendo all’apprezzamento complessivo dei candidati, si sia convinto circa la preferenza da attribuire a un candidato rispetto agli altri devono essere espresse, ancorché sinteticamente, in modo chiaro, esplicito e coerente” e questo “vale tanto più per la omissione di un candidato dapprima proposto e che aveva acquisito una legittima aspettativa alla valutazione comparativa finale, risultando anche all’uopo ascoltato in audizione”. Tra l’altro il Tribunale amministrativo del Lazio, come messo nero su bianco, segnalava anche che “Viola in audizione si era dichiarato parte offesa” nello scandalo Palamara e ciò, “oggettivamente emerge dalla lettura delle intercettazioni”.

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