SE VINCE IL SI
Sarebbe una sorta di super investitura popolare. Quella stessa investitura che ancora manca a Matteo Renzi, salito a palazzo Chigi senza essere passato per le elezioni politiche come candidato premier del Pd. Parliamo di un “difetto” d’origine che ha segnato un po’ tutto il percorso del presidente del consiglio, che non per niente gonfiò il petto quando alle europee del 2014 il Partito democratico raccolse oltre il 40% dei voti. Ma erano altri tempi. Ecco perché se adesso il referendum sulle riforme costituzionali dovesse passare, se cioè il Sì riuscisse ad affermarsi, l’esito verrebbe utilizzato da Renzi come quel passaggio elettorale di successo che in realtà non ha avuto. E hai voglia a dire che la consultazione non va personalizzata. Il referendum, infatti, altro non sarà che un voto pro o contro il Governo. Con la vittoria del Sì Renzi sentirebbe le sue forze decuplicarsi. Così come il suo potere contrattuale nei confronti di tutti.
I nodi – Questo significa che sulla legge elettorale, nonostante le promesse di incisive modifiche concesse alla minoranza, i cambiamenti saranno minimi. Quanto alle future elezioni politiche, il discorso dipenderà molto dalla misura dell’affluenza e dalla dimensione dell’eventuale vittoria del Sì. In generale si può dire che con le riforme costituzionali in tasca il premier potrebbe tranquillamente continuare il suo percorso a palazzo Chigi fino alla naturale scadenza della legislatura, fissata per il 2018. Ma c’è chi crede che, di fronte a un successo particolarmente incisivo, il presidente del consiglio potrebbe anche vedere di buon occhio le elezioni anticipate per capitalizzare ulteriormente il consenso. Un’altra ripercussione dell’eventuale vittoria del Sì sarebbe campo libero per Renzi e il giglio magico nella prossima tornata di nomine pubbliche. Nella primavera del 2017, infatti, arrivano a scadenza i Cda delle varie Eni, Enel, Leonardo-Finmeccanica, Terna e via dicendo. E come al solito gli appetiti non mancheranno di scatenarsi.
Poltrone di Stato – Ma a quel punto è verosimile che un giglio magico “rafforzato” dalla vittoria del Sì al referendum possa gestire in grande autonomia la delicata partita delle poltrone. Del resto questi due anni e mezzo di governo sono ampiamente bastati a capire quanto il giglio magico e Renzi stesso puntino a governare anche affidando a fedelissimi buona parte delle poltrone che contano. A volte rischiando si sfociare nella clientela vera a propria. Basti pensare a tutti quegli episodi di finanziatori della fondazione Open che poi si sono ritrovati un qualche Cda di società quotate in borsa a partecipazione pubblica. Insomma, se vincesse il Sì Renzi andrebbe avanti come un rullo compressore un po’ ovunque.
SE VINCE IL NO
Dalle parti del Pd in molti temono un No al referendum sulla riforma costituzionale del 4 dicembre. E la domanda è tanto semplice quanto allarmante: cosa accadrebbe se la consultazione venisse bocciata dagli italiani? Il quesito riguarda in primo luogo il futuro dell’attuale presidente del consiglio. Renzi, durante i primi passaggi parlamentari della riforma, aveva dato a intendere che il No avrebbe decretato la sua uscita da palazzo Chigi. Poi le cose sono cambiate. Lo stesso premier ha cercato di non lasciare campo libero alla personalizzazione del quesito. Solo di recente è sembrato recuperare l’originaria posizione. E’ successo durante la trasmissione di Fabio Fazio, quando ha detto di non avere intenzione di galleggiare. Significa che in caso di No si dimetterebbe? E che non accetterebbe un eventuale reincarico da parte di Sergio Mattarella? Dalle parole usate con Fazio sembrerebbe potersi desumere la volontà di un passo indietro. Per questo ora tornano in ballo i nomi di Pier Carlo Padoan, Graziano Delrio, Enrico Letta e Pietro Grasso come possibili successori nel ruolo di traghettatori del Paese fino alle elezioni del 2018. Senza scordare il ruolo di tessitore dietro le quinte di Dario Franceschini e le interlocuzioni con Silvio Berlusconi, Denis Verdini e Angelino Alfano, che a quel punto dovrebbero mettersi d’accordo per fornire l’appoggio parlamentare a un governo temporaneo.
Il ruolo di Padoan – Il suo nome non ha mai smesso di circolare. L’ipotesi di un Pier Carlo Padoan presidente del consiglio, nel caso di una vittoria del No al referendum e successive dimissioni di Matteo Renzi, aleggia sul palazzo da diversi mesi. Addirittura alcuni quotidiani hanno messo in grande risalto sondaggi secondo i quali Padoan, nella compagine governativa, incarna la figura più stimata dalla maggior parte degli italiani. Difficile non vederci la volontà, da parte di certi ambienti, di provare a tirare la volata all’attuale ministro dell’economia. Il quale baserebbe le sue chance di successo sul profilo internazionale costruito in passato. Già pezzo grosso del Fondo monetario internazionale, già ai vertici dell’Ocse, Padoan sarebbe avvertito dalle cancellerie europee come un interlocutore di garanzia, attento alla tenuta dei conti e orecchio sensibile a quelle sirene dell’austerity che con un’Italia alla sbando potrebbero tornare a farsi sentire rumorosamente. Padoan, in più di un’occasione, ha detto di essere interessato ad altro. Ma poi, si sa, quando si finisce all’interno di un determinato ingranaggio è anche difficile titarsene fuori. E così, se all’esterno si consolidassero preferenze in tal senso, e se dovesse arrivare una richiesta esplicita di Mattarella, sarebbe difficile per Padoan non accettare un incarico. Certo, la maggioranza parlamentare deputata a sostenerlo sarebbe un po’ una scommessa, ma questo vale anche per tutti gli altri candidati al dopo Renzi.
Le chance di Delrio – Il suo profilo ci ha messo un po’ più di tempo a venire fuori. Ma secondo ragionamenti che vanno per la maggiore potrebbe avere tutte le credenziali per incarnare il ruolo del successore di Matteo Renzi. Parliamo di Graziano Delrio, il quale anni fa è assurto agli onori della cronaca per essere diventato il primo sindaco di Reggio Emilia non proveniente dalle file del Pci. E infatti Delrio, oggi ministro delle infrastrutture, è approdato al Pd dopo essere trasnitato per la Margherita e il Partito Popolare, ovvero proprio quel Ppi che è stata per un po’ di tempo la “casa” dell’attuale presidente della repubblica Sergio Mattarella. Per carità, poi Delrio ha avuto modo di stringere molto con Renzi, in particolare proprio per l’esperienza di sindaco e di rappresentante dell’Anci condivisa con l’allora primo cittadino di Firenze. Ma poi si è anche distinto dall’ex Rottamatore. Va infatti ricordato che Delrio è stato ministro degli affari regionali nel governo di Enrico Letta. E va ricordato che il primo anno di governo Renzi è stato sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ruolo che però ha poi abbandonato per sedersi sulla poltrona di ministro delle infrastrutture. “Promovetaur ut amoveatur”, hanno pensato in molti. Quasi a sottolineare un profilo inserito nel Governo Renzi, ma non renziano. Sul quale potrebbe puntare anche Franceschini, gran tessitore dietro le quinte degli scenari post Renzi.
L’appeal di Grasso – Un giudice. Siciliano. Per carità, forse sarebbe riduttivo limitare le chance di Pietro Grasso a questo due elementi. Ma non c’è dubbio che si tratta di elementi importanti. E così che anche Pietro Grasso, attuale presidente del Senato, finisce di diritto nel novero dei papabili al post Renzi nel caso di vittoria del No alla consultazione del prossimo 4 dicembre. Il fatto che Grasso sia un giudice potrebbe giocare a favore di quella distensione dei rapporti nei confronti della magistratura che in questi due anni e mezzo di Governo non sempre sono stati “posati”. Poi c’è chi fa notare la componente geografica. Grasso è siciliano come il presidente della repubblica, Sergio Mattarella, che in caso di No al referendum, e successive dimissioni di Renzi, avrebbe un ruolo fondamentale nel decidere a chi affidare la gestione del Paese. Insomma, si tratterebbe di una soluzione di compromesso, come del resto tutte le altre in campo, tesa a garantire all’Italia un Governo di transizione in vista delle elezioni politiche nel 2018. Tra l’altro c’è da registrare come ciascuna di queste ipotesi presupponga la marginalità dell’opzione elezioni anticipate. Parliamo di una possibilità che in teoria starebbe pure in piedi, ma che in realtà è considerata dalla gran parte degli osservatori impraticabile. Sarebbe troppo alto il rischio di consegnare il Paese a uno scenario di incertezza. Per questo Mattarella, in caso di No, preferirebbe affidare l’incarico a qualcuno.
Twitter: @SSansonetti