Renzi finisce nella morsa delle Camere di commercio e pesta i piedi alle fondazioni

di Stefano Sansonetti

Un passaggio breve, giusto poche parole. Ma sufficienti a scatenare una guerra dagli esiti imprevedibili tra Matteo Renzi, segretario del Pd con ambizioni da premier, e il mondo delle camere di commercio. La materia del contendere è un rapido passaggio del Jobs Act predisposto da Renzi e dai suoi collaboratori per rilanciare il mercato del lavoro italiano. Tra le proposte ce n’è una che prevede l’ “eliminazione dell’obbligo di iscrizione alle Camere di commercio”. La spiegazione, subito dopo, è che si tratterebbe di un “piccolo risparmio per le aziende, ma un segnale contro ogni corporazione”. Dopodiché, conclude la proposta, le funzioni delle stesse camere di commercio verrebbero “assegnate a enti territoriali pubblici”. Inutile dire che, di fronte a queste poche righe, il sistema camerale italiano è andato su tutte le furie. E sta già serrando i ranghi, chiamando a raccolta anche le fondazioni bancarie, azionisti strategici delle banche italiane, con le quali Renzi sta cercando contatti in vista della scalata a palazzo Chigi. Si dà infatti il caso che proprio le camere di commercio eleggano numerosi rappresentati negli organi di indirizzo delle fondazioni. Insomma, con il breve passaggio nel suo Jobs Act, Renzi rischia di inimicarsi pezzi grossi dell’economia con i quali vorrebbe invece avere una “proficua” interlocuzione.

La situazione
Il giorno dopo la presentazione della proposta renziana era stato proprio il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, a respingere l’idea al mittente: “Da quanto leggo si parla di levare l’obbligo dell’iscrizione delle imprese alle Camere di commercio, ma penso che la questione non sia stata valutata nella sua completezza, perché l’iscrizione al registro delle imprese significa certezza, trasparenza e garanzie per le aziende”. Certo, non si può tacere che per le Camere di commercio quello delle iscrizioni è un bel business. La quota varia dagli 88 euro per le piccolissime aziende ai 30-40 mila euro per le imprese più grandi. Al di là del dato economico, però, è veramente possibile eliminare l’iscrizione a un ente camerale, per poi magari trasferirlo presso un altro ente pubblico? Si tratta della domanda che ci si sta ponendo in questi giorni presso Unioncamere, dove peraltro si fa notare che le stesse Camere sono giuridicamente enti pubblici. Insomma, è crescente il sospetto che Renzi, o chi per lui, abbia scritto quel passaggio avendo in mente altri obiettivi. C’è chi dice che il sindaco di Firenze potrebbe avere deciso di inserire una proposta “spot” per le imprese.

Le variabili
Sullo sfondo sembra profilarsi anche un possibile incidente diplomatico con il mondo delle fondazioni bancarie, nei cui organi di indirizzo sono presenti diversi esponenti indicati proprio dalle camere di commercio. Non è una novità che proprio Renzi stia tentando di tessere una tela con il mondo delle fondazioni, ancora oggi titolari di corposi pacchetti azionari nei gruppi bancari italiani. Si pensi al rapporto stretto che c’è tra il sindaco di Firenze e Sergio Chiamparino, fino a pochissimo tempo fa a capo della Compagnia Sanpaolo (azionista di Intesa con il 9,8%), unico esponente della vecchia guardia Pd mai rottamato da Renzi. O al rapporto altrettanto stretto con Jacopo Mazzei, fino a inizio 2013 presidente della Fondazione cassa di risparmio di Firenze e vero sponsor di Renzi nel capoluogo toscano.

@SSansonetti