Riapre l’ospedale di Codogno. E arriva subito una paziente Covid. Un altro caso sospetto è invece risultato negativo. Con la ripartenza torna la paura nel Lodigiano

Dove tutto è iniziato, con la fase 3 e il ripristino della libera circolazione in Italia, torna ad aprire i battenti il pronto soccorso dell’ospedale ma torna anche lo spettro del Covid. La struttura sanitaria di Codogno, in provincia di Lodi, è stata chiusa nella notte tra il 20 e il 21 febbraio scorso, quando venne accertato il primo caso di coronavirus in Italia, quello di Mattia-Paziente 1. Da allora è iniziato l’incubo. Prima con la stessa Codogno e altri nove Comuni della zona trasformati in zona rossa e poi con il lockdown che ha paralizzato il Paese e mandata a picco l’economia. Ieri il pronto soccorso ha appunto riaperto e tra una trentina di pazienti che hanno chiesto assistenza ci sono subito stati anche un caso di sospetto Covid, in seguito risultato negativo, e un’anziana di 90 anni positiva, trasferita da una casa di riposo vicina per problemi di anemia.

LA FASE 3. Il pronto soccorso, scoperto che il virus era arrivato in Italia, venne subito sottoposto a una doppia sanificazione e nelle scorse settimane è stato ulteriormente rimesso in ordine, fissando anche una serie di regole rigide per evitare i contagi. Con termoscanner all’entrata, vigilantes, triage, ingresso non consentito ai parenti dei pazienti, tranne che in alcuni casi, e due percorsi distinti, uno per i Covid e uno per i no Covid. I letti, per un totale di 23 posti, sono stati distanziati, sono state create zone filtro, una shock-room e sono stati allestiti 4 letti di terapia intensiva super attrezzati con ventilatori di ultima generazione e di fascia alta. “Abbiamo deciso di riaprire perché adesso siamo in condizioni di garantire sicurezza per i pazienti, gli operatori e il territorio”, assicura Stefano Paglia, direttore del dipartimento di emergenza e urgenza della Asst di Lodi e di Codogno.

LA CRONACA E’ GIA’ STORIA. Poi il ricordo della notte destinata a segnare la storia d’Italia. “Quella sera – ha ricordato ieri il dott. Paglia – ero qui con il dottor Andrea Filippin, il referente medico di presidio, e subito dopo la scoperta di Paziente 1 e Paziente 3 abbiamo avuto la certezza di essere nel pieno di un’epidemia: qui c’erano 15 malati di cui 5 con la polmonite”. “Ci hanno blindato qui dentro, io sono rimasto fino alla mattina del 22 febbraio dopo il tampone negativo”, ha aggiunto Piergiorgio Villani, il rianimatore che si è occupato per tutta la notte di Mattia. La notte più lunga per l’ospedale di Codogno. A cui hanno fatto seguito la chiusura del pronto soccorso, il trasferimento dei pazienti in altri presidi sanitari, tra cui quello di Lodi, il divieto di ingresso ai parenti dei degenti e di uscita di medici e infermieri ,se non dopo il doppio tampone negativo, e infine la quarantena per 50mila abitanti della zona.

“Un unicum nella storia della medicina di igiene e prevenzione in Italia”, insiste Paglia. Ora si riparte. “Non siamo più in una fase di epidemia conclamata e non stiamo più vedendo i pazienti critici di marzo e aprile. Quelli che stiamo vedendo adesso assomigliano ai pazienti di dicembre e gennaio”, precisa il direttore del Dipartimento di emergenza e urgenza. “La nostra massima attenzione è far sì – conclude – che questo livello non peggiori. Intendiamo gestire al meglio la complessità di questo scenario che è fatto di pazienti con altre patologie anche complesse, pazienti che escono da percorsi Covid e qualche sporadico nuovo caso, nel rispetto della sicurezza di tutti”. Codogno come il resto d’Italia ora non è più indifesa davanti al virus e affronta la sfida della fase 3 e del graduale ritorno alla normalità.