Siamo già nel pieno dell’emergenza siccità. Il governo Draghi deve prenderne atto e dichiarare lo stato di calamità. Parla il direttore Anbi, Massimo Gargano

Siamo già nell'emergenza siccità. Il governo Draghi deve prenderne atto e dichiarare lo stato di calamità. Parla il direttore Anbi, Gargano

Siamo già nel pieno dell’emergenza siccità. Il governo Draghi deve prenderne atto e dichiarare lo stato di calamità. Parla il direttore Anbi, Massimo Gargano

Sulla dichiarazione dello stato di emergenza siccità, il governo “non può perdere altro tempo”. A dirlo è Massimo Gargano, direttore dell’Anbi.

Sono giorni di allarme con la siccità che sta mettendo in ginocchio il Paese. Come mai in Italia riscopriamo il problema solo quand’è troppo tardi?
“Questo è un Paese che dà il meglio di sé durante le emergenze. Si tratta di una nostra peculiarità di cui ho ben chiare le ragioni anche se non le condivido. Siamo bravissimi a gestire le fasi acute dei problemi, tanto da avere la Protezione civile che in tal senso è un’eccellenza, mentre siamo assolutamente scarsi nella prevenzione. Nel caso dell’acqua e del contrasto ai cambiamenti climatici siamo ancor più deficitari perché i tempi dei rispettivi interventi superano la consiliatura. Deve sapere che il tempo di realizzazione di un’opera pubblica medio-grande è di almeno dieci anni. E tutto deve filare liscio. È evidente che l’interesse e l’appeal per progetti a così lungo termine è scarso da parte della politica visto che questa preferisce lasciarsi andare a dichiarazioni e spot. Ma la situazione è davvero drammatica perché i cambiamenti climatici, dovuti ai motivi che tutti noi ben conosciamo, oramai si sono strutturati e quindi non possiamo più parlare di anomalie climatiche. Dallo scontrarsi di correnti calde africane con quelle artiche e fredde, in Italia assisteremo sempre più spesso a lunghi periodi di grande calore alternati a brevi periodi in cui cadono enormi quantità di piogge. Questo è lo scenario di riferimento del nostro Paese e con questo ci dobbiamo confrontare”.

In questo momento, con l’emergenza siccità in corso, come se la passa l’agricoltura italiana?
“Abbiamo fatto danni inenarrabili all’agricoltura e quindi ai cittadini perché poi tutto questo si ripercuote sia sull’autosufficienza alimentare, resa ancor più necessaria per via della guerra in Ucraina, ma anche sui prezzi e sull’energia visto che una parte la produciamo anche con l’idroelettrico”.

Dal Veneto alla Lombardia, cresce il pressing dei governatori sul premier Draghi per chiedere lo Stato di emergenza ma l’esecutivo prende tempo. Come giudica questo atteggiamento?
“Non possiamo perdere neanche un minuto. Dobbiamo annullare quel solco che c’è tra la cultura delle dichiarazioni a quella del fare. In questo momento abbiamo una mancata coesione con la Slovenia per il fiume Isonzo e con la Svizzera per il lago Maggiore. Abbiamo anche un conflitto tra regioni perché è evidente che il Po nasce in Piemonte e finisce in Veneto e Emilia Romagna quindi è chiaro che c’è chi usa quelle acque per primo e chi per ultimo. C’è pure un conflitto tra utenze, dagli operatori turistici agli agricoltori e dagli operatori elettrici ai cittadini, perché l’acqua non c’è. Che le cose stiano così è evidente dal fatto che stiamo già dando l’acqua con le autobotti in molti comuni di Lombardia e Piemonte, inoltre stiamo razionalizzando questa risorsa anche nel Lazio e siamo stati costretti a farlo anche per il settore agricolo, mettendo in crisi un settore vitale del Paese”.

Come se ne esce dall’emergenza siccità?
“Tutto questo deve essere affrontato secondo due logiche: affrontare il problema nell’immediato e gestirlo nel lungo periodo per evitare il ripetersi di una situazione simile. Per quanto riguarda l’immediato noi stessi, ancor prima delle regioni, abbiamo chiesto al governo di dichiarare lo stato di emergenza nazionale individuando nella Protezione civile il soggetto adatto per dare regole di condivisione del disagio. Nel medio e lungo periodo, l’Anbi con Coldiretti hanno preparato un piano che prevede la creazione di piccoli e medi bacini di accumulo in grado di raccogliere l’acqua quand’è troppa così da poterla riutilizzare quand’è poca. Tenga presente che annualmente cadono più di 300 miliardi di metri cubi d’acqua e noi l’89% lo ributtiamo in mare. Riusciamo a raccogliere soltanto l’11%. È tutta acqua che buttiamo mentre dovremmo imparare a conservarla, creando un’infrastruttura che non impatti con l’ambiente, non stravolga i fiumi e permetta di produrre energia dall’idroelettrico. Proprio quello che da tempo stiamo proponendo. Temi che noi di Anbi affronteremo il prossimo 5 e 6 luglio in un convegno a Roma”.

Crede che gli stanziamenti previsti nel Pnrr siano sufficienti per risolvere il problema?
“Tra Pnrr e altri fondi, sono stati stanziati 1 miliardo e 200 milioni sul tema dell’acqua. Il problema è che sono tutte risorse che non finanziano opere nuove ma il solo efficientamento della rete. La realtà, però, è che abbiamo urgenza di rifare gran parte dell’infrastruttura del Paese e il governo farebbe bene a trovare altri fondi perché quelli fin qui previsti sono irrisori”.