Spunta la truffa benedetta. Affari d’oro per il finto prete. In manette un Monsignore e cinque complici. Le prede scelte nei salotti buoni della Capitale

Affari d’oro e con il benestare di un cardinale. Sembrava l’occasione della vita per molti ma si è rivelato il più classico dei bluff quello messo in piedi da sei truffatori, quattro stranieri e due italiani, tutti arrestati ieri per il gigantesco raggiro da 13 milioni di euro. Opere d’arte, immobili di pregio e la sempre verde tecnica per ottenere banconote attraverso la smacchiatura di fogli di carta con un miracoloso, quanto inesistente, solvente. Questo il vasto campionario di frodi, letteralmente adatte ad ogni cliente e gusto, di cui si sono serviti i componenti di quella che è già stata ribattezzata “la banda del Monsignore”. Perché questa volta i truffatori avevano pensato davvero a tutto pur di accalappiare imprenditori ricchi e facoltosi della cosiddetta Roma bene. C’era un finto cardinale, un altrettanto fasullo ingegnere che raccontava di svolgere il ruolo di intermediario con il Vaticano, un accompagnatore e interprete che dava un tocco di serietà al gruppo, un falso assistente personale del prelato e anche un factotum. Non mancava neanche un finto esperto di opere d’arte capace di mirabolanti peripezie dialettiche pur di piazzare un colpo. E non veniva lasciato al caso neanche il luogo usato per gli incontri che, per essere il più credibile possibile, veniva ricavato all’interno di una struttura ricettiva proprio a due passi dalla Città del Vaticano, oppure l’automobile di lusso usata per gli spostamenti che era presa a noleggio con tanto di autista. E incredibilmente, la banda spesso riusciva a fregare l’ingenua vittima.

Acuta strategia – Per la compravendita di opere d’arte ed immobili il piano era tanto semplice quanto ben studiato. Prima si adescava qualche facoltoso imprenditore interessato a togliersi qualche sfizio o, meglio ancora, a disfarsi di qualche immobile, poi si entrava nel vivo dell’azione. Con ritmo cadenzato, entrava in gioco il gancio, cioè l’ingegnere che millantava conoscenze negli ambienti aristocratici ed ecclesiastici della città eterna. A questo punto entrava in gioco il finto cardinale, vestito con tanto di abito talare e un grosso crocefisso al collo, per garantire, con tanto di benedizione, l’affare. Il truffato, ormai in balia della banda perché convinto dalla presenza del prelato, non poteva far altro che abbandonarsi completamente ai criminali che gli promettevano grosse plusvalenze di beni a fronte di un anticipo, spesso di decine di migliaia di euro, finalizzato alla buona riuscita della transazione. Così i soldi finivano nelle tasche della banda che poi spariva nel nulla lasciando l’imprenditore di turno con un pugno di mosche. Se malauguratamente qualcosa andava storto e la vittima del raggiro si tirava indietro o, peggio, minacciava querele, la banda del Monsignore non stava di certo a guardare. Con ben poca pietà cristiana, invece di fare spallucce e chiedere perdono prima di sparire nel nulla, gli interpreti della grottesca messa in scena passavano alle minacce: “non si gioca con il Vaticano, se fai lo stupido sei finito!”.