Sul possibile accordo per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, basato sulla nuova proposta americana e subito accettato da Israele, sembra essere già calato il sipario. Un alto funzionario di Hamas ha dichiarato alla BBC che il gruppo palestinese sta attualmente “valutando la proposta”, ma che molto probabilmente la respingerà, in quanto “non soddisfa nessuna delle richieste formulate” dal movimento, a partire dall’assenza di un impegno concreto per porre definitivamente “fine al conflitto”. Il timore è che, una volta liberati gli ostaggi, Israele possa riprendere le ostilità.
Parole che non sorprendono, anche perché l’accordo proposto dall’inviato speciale degli Stati Uniti per il Medio Oriente, Steve Witkoff, prevedeva 60 giorni di tregua e la liberazione di un centinaio di detenuti palestinesi, in cambio del rilascio di 10 ostaggi vivi e della restituzione di 18 salme. Una bozza che menzionava vagamente anche i futuri negoziati, ma senza prevedere impegni vincolanti.
Una proposta accolta favorevolmente dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ben consapevole che Hamas non avrebbe potuto far altro che rifiutarla. In questo modo, Israele avrebbe potuto comunque mostrarsi “disponibile al dialogo” davanti alla comunità internazionale.
L’estrema destra rilancia: “Entrare a Gaza con tutte le forze”
Con il più che probabile fallimento dei negoziati, l’estrema destra israeliana ha colto l’occasione per accusare Hamas di voler proseguire la guerra. Il ministro per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, leader dell’ala sovranista, ha rivolto un appello diretto a Netanyahu: “Signor Primo Ministro, dopo che Hamas ha nuovamente respinto la proposta di accordo, non ci sono più scuse per continuare questa stagnazione a Gaza. Abbiamo già perso abbastanza occasioni. È ora di entrare con tutte le nostre forze”.
Parole che sembrano aver avuto effetto. L’esercito israeliano (IDF) ha infatti sferrato una nuova serie di raid aerei che hanno causato una strage: almeno 75 le vittime. Una pioggia di bombe che, secondo fonti mediche, ha colpito tutta la Striscia di Gaza, con particolare violenza sulla città settentrionale di Jabalia, quella meridionale di Rafah, l’area di Mawasi e Al Qarara, a Khan Yunis.
Carestia e violenze: “La Striscia di Gaza è il posto più affamato del mondo”
Quel che è peggio è che, ormai, a Gaza non si muore solo per le bombe, ma anche — e sempre più spesso — per la spaventosa carestia che colpisce la popolazione civile. Da giorni, migliaia di persone affamate e disperate si accalcano, a rischio della propria vita, nei punti di distribuzione degli aiuti umanitari.
Proprio in uno di questi centri, come già accaduto nei giorni scorsi, si è verificato un nuovo “incidente”: l’esercito israeliano avrebbe aperto il fuoco su un gruppo di civili che tentava di raggiungere il sito di distribuzione gestito dall’ente statunitense Gaza Humanitarian Foundation (GHF), nel sud del Corridoio di Netzarim, nel centro della Striscia.
Fortunatamente, non ci sarebbero vittime, ma almeno venti persone risultano ferite in modo grave. Al momento, l’IDF non ha commentato l’episodio, mentre le Nazioni Unite hanno denunciato ancora una volta quello che definiscono un “crimine di guerra”.
Come ha dichiarato Jens Laerke, portavoce dell’Ufficio ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA): “Gaza è il posto più affamato del mondo. Il 100% della popolazione è a rischio di fame. È l’unica area al mondo in cui l’intera popolazione è in questa condizione”. Un’allarme rilanciato ancora una volta senza ottenere risposte concrete dal governo israeliano. Laerke ha infine implorato Tel Aviv di consentire l’ingresso di “più aiuti umanitari” e di evitare ulteriori spargimenti di sangue.