L’Europa ci sgrida sui diritti civili

di Carmine Gazzanni

Sui diritti gay l’Italia resta indietro. Lo si legge chiaramente nel rapporto di Ilga Europe, il gruppo europeo a cui fanno capo oltre 400 associazioni impegnate sui diritti delle persone Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender). Il dossier, pubblicato solo qualche mese fa, disegna un quadro nero per il nostro Paese. Si tratta di dati che considerano tutta la galassia dei diritti del mondo omosessuale. Su una scala che va da zero a 100, infatti, si tiene conto per il 15% del rispetto della libertà di assemblea, associazione ed espressione, per il 15% del riconoscimento legale del genere, per il 45% delle politiche e leggi contro l’omofobia e a protezione degli omosessuali e, infine, per il 25% restante per il “riconoscimento familiare” (matrimoni, inseminazioni, adozioni). E qui, nonostante “assistiamo a miglioramenti dal punto di vista della legislazione e delle politiche pubbliche”, ci resta ancora “molto lavoro da fare”.

FANALINO DI CODA
In questa speciale classifica è la Gran Bretagna ad essere in testa registrando, secondo l’Ilga, l’84%. In fondo, invece troviamo la Russia. E l’Italia? Nonostante piccoli miglioramenti, restiamo tristemente indietro attestandoci al 32esimo posto su 39. Un disastro. Basti questo: il nostro Paese raggiunge il 25%, mentre la media europea è a quota 36. Restiamo pesantemente indietro, dunque. E non solo rispetto ai nostri classici concorrenti, ma anche a Paesi insospettabili come l’Albania (38%), il Montenegro (48), la Romania (28). O, ancora, la Georgia (26%). Insomma, di strada da fare ne abbiamo ancora tanta. E certamente l’uscita di ieri di Alfano non aiuta.

SCHERZO DEL DESTINO
Ma non basta. Un monito chiaro arriva anche dalla Corte Europea sui diritti umani. Nel rapporto presentato al Parlamento italiano solo pochi giorni fa (vedi La Notizia del 26 settembre), spiccano anche ricorsi presentati contro il nostro Stato “proposti da coppie di cittadini italiani”. Il motivo? Esattamente lo stesso che oggi Alfano contesta. La procedura, infatti, è stata aperta proprio dopo “il diniego opposto delle autorità nazionali alla richiesta di pubblicazioni matrimoniali o alla richiesta di trascrizione del matrimonio contratto all’estero”. A riprova che l’uscita di Alfano sia sconsiderata. Non solo. Sotto la lente dei magistrati comunitari finisce soprattutto il vuoto normativo: i ricorrenti, infatti, “lamentano che la legislazione italiana, nel prevedere il matrimonio quale unica e esclusiva forma di riconoscimento di unioni familiari”, determina una forma di discriminazione “basata esclusivamente sull’orientamento sessuale”. L’accusa è di quelle pesanti. A parere della Corte, infatti, “all’interno del concetto di ‘vita familiare’, devono potersi ricondurre anche le relazioni sentimentali e sessuali tra persone dello stesso sesso”. Pertanto, costituisce “una violazione la mancanza di tutela e riconoscimento adeguato all’interno di uno Stato membro delle coppie omosessuali”. Forse qualcuno dovrebbe avvisare il ministro.