Torino alla canna del gas. In vendita pure i parcheggi

di Stefano Sansonetti

Nonostante gli sforzi, portati avanti ormai da anni, Torino è sempre con l’acqua alla gola. Pressato da un debito di più di 3 miliardi di euro ereditato dalle gestioni passate, e dal solito patto di stabilità che impone di trovare circa 120 milioni prima della fine del 2013, il comune cerca di fare cassa in tutti i modi. L’ultima invenzione in ordine di tempo riguarda la messa all’asta dei parcheggi comunali. Una manovra dalla quale il sindaco Piero Fassino, ex segretario dei Ds, spera di incassare come minimo 33 milioni di euro. Il tutto mentre rimane un capitolo aperto la cessione di una quota della Gtt (Gruppo torinese trasporti), la società del trasporto pubblico locale i cui tentativi di vendita, per ora, si sono rivelati a dir poco fallimentari. Proprio la Gtt, che fa capo al comune per il tramite della holding di partecipazioni Fct, in questi giorni ha finito di predisporre un avviso con cui si mette all’asta il 100% detenuto nella Torino Parcheggi srl. Si tratta, appunto, della società che diventerà concessionaria della gestione della sosta a pagamento nel capoluogo piemontese. Diventerà, si è detto, perché in realtà il business dei parcheggi è ancora formalmente in mano alla Gtt. La società, come si apprende dall’avviso d’asta, sta perfezionando un’operazione “di conferimento del ramo d’azienda”. Il conferimento, proseguono le carte, avverrà proprio a favore della Torino Parcheggi srl, “a fronte di un aumento di capitale” della stessa società. Il fatturato annuo del settore parcheggi, dice ancora il documento per rendere appetibile l’asta, si aggira intorno ai 30 milioni di euro. Ad ogni modo ci sarà tempo fino al 16 dicembre per fare pervenire manifestazioni d’interesse rispetto a una base d’asta fissata in 33 milioni. La procedura, però, dimostra una volta di più le difficoltà che sta incontrando il comune nel fare cassa con le dismissioni azionarie.

La storia infinita
Basti pensare ai tentativi, finora andati a vuoto, di cedere il 49% detenuto dal comune proprio nella Gtt. Con un bando risalente a più di un anno fa si era fissata una base d’asta a 112 milioni di euro. Qualche interesse era pure arrivato, come quelli della tedesca DB, della francese Keolis e di Trenitalia. Alla fine è rimasta sul piatto solo un’offerta da 70 milioni presentata proprio dalla società del gruppo guidato da Mauro M0retti. La cifra, però, è stata considerata non congrua dal comune di Torino, per il quale si sarebbe trattato di una svendita. E così, in attesa di riformulare un bando per le cessione di una quota di Gtt, che secondo alcuni potrebbe anche salire all’80%, si prova ad a anticipare i tempi scorporando dalle stessa Gtt il ramo parcheggi.

I precedenti e il rischio svendita
Per carità, il pressing imposto dal patto di stabilità può anche fornire l’occasione di liberarsi di tutto quel novero di municipalizzate che un comune come Torino ancora si trova in pancia. La stessa Gtt, tanto per dirne una, ancora oggi vanta 22 partecipazioni (tra dirette e indirette) in altrettante società. All’inizio del 2013, invece, il comune è riuscito a cedere al fondo F2i, guidato da Vito Gamberale, il 28% detenuto nella Sagat, la società che gestisce l’aeroporto di Torino. La cifra incassata, e cioè 35 milioni (che possono salire a 40 nel caso in cui il margine operativo di Sagat dovesse superare certi parametri nei prossimi 3 anni), è pero risultata sensibilmente inferiore alla base d’asta che solo qualche mese prima era stata fissata in 58,8 milioni di euro. Stesso canovaccio per altre due cessioni andate in porto alla fine dell’anno scorso. L’80% della Trm, la società che sta costruendo il termovalorizzatore, è stato ceduto sempre a F2i e a Iren per 126 milioni di euro, quando invece si era partiti da una richiesta di 150. Il 49% dell’Amiat, la società dei rifiuti, è stato venduto a un consorzio di imprese, con dentro Iren, per 28 milioni. La richiesta iniziale era di 32. In questi ultimi due casi, peraltr0, tra gli acquirenti c’è sempre l’Iren, ovvero la municipalizzata dell’energia che fa capo ai comuni di Genova e Torino. Insomma, pur di far cassa si è fatto ricorso a una piccola partita di giro.

In Italia una giungla di 3.600 municipalizzate

Per carità, il patto di stabilità è una morsa che spesso stritola i sindaci italiani imponendo loro cessioni che poi si trasformano in svendita. Ma volendo guardare il rovescio della medaglia è anche l’occasione per disfarsi di tutta una serie di municipalizzate che hanno bilanci in rosso, sono gestite male e risultano soltanto una riserva in cui far accomodare politici più o meno trombati e amici degli amici. I numeri, ancora oggi presenti nei comuni del Belpaese, sono da far tremare i polsi. In base a un recente censimento condotto proprio dall’Anci, ora presieduta dal sindaco di Torino Piero Fassino, in Italia ci sono ancora 3.662 “municipalizzate”, società direttamente o indirettamente controllate dai comuni. Quel che più conta è che questo movimento porta in dote qualcosa come 30.185 poltrone, tra cui 15.868 per gli amministratori. Questo significa una media  di 4,3 amministratori per ogni società. Si aggiungono poi 11.617 posti per i componenti di collegi sindacali e organi di controllo e 2.700 per direttori e procuratori. Insomma, un mondo talmente grande da far gola a tutte quelle mire politiche che periodicamente consegnano alle cronache scandali come assunzioni facili di trombati e parentopoli varie. Una situazione che, a distanza di tanti anni dalle prime battaglie anticasta, risulta ancora oggi del tutto inaccettabile. E la dice lunga sulla bontà degli annunci, succedutisi nel tempo, su manovre di contenimento di questo scandalo. Tornando alle 3.662 società partecipate dai comuni, la maggior parte trova sistemazione nei municipi di Lombardia (597), Toscana (330) e Piemonte (320). Sempre all’interno del numero complessivo, spiccano per tipologia le srl (1.557), seguite dalle spa (1.370) e dalle società consortili (438). Ma nel calderone ci sono pure 107 consorzi, per non farsi mancare niente. Inutile far notare che la maggior parte dei queste strutture, ovvero 1.470, è occupata nell’erogare servizi pubblici locali. Ma ci sono anche attività come supporto alle imprese, cultura, formazione, istruzione, ricerca. E chi più ne ha più ne metta, all’insegna dello spreco sfrenato.