Troppe liti, Draghi nega ma è tentato dall’addio. Il nome del premier in pole dalla Nato al Fondo monetario sino alla Banca mondiale

Aria pesante a Palazzo Chigi. Il nome del premier Mario Draghi in pole dalla Nato al Fondo monetario sino alla Banca mondiale.

Troppe liti, Draghi nega ma è tentato dall’addio. Il nome del premier in pole dalla Nato al Fondo monetario sino alla Banca mondiale

La suggestione arriva da Carlo Calenda. Il leader di Azione ha sostenuto, in poche parole, che Mario Draghi possa presto stancarsi e sfilarsi dal suo incarico di presidente del Consiglio. Dal fisco alla giustizia, dalla concorrenza agli appalti, i partiti ogni giorno piantano le loro bandierine e creano tensioni.

Calenda ha sostenuto che Draghi possa presto stancarsi e sfilarsi dal suo incarico di presidente del Consiglio

Tensioni che – sostiene Calenda – cominciano a essere un problema, sono una specie di teatrino. Sul fisco a montare la grancassa della propaganda elettorale è stato il centrodestra. Sulla giustizia sta facendo casino Matteo Renzi.

Sulla Concorrenza, in particolar modo sui balneari, ancora una volta fanno chiasso le destre. Dei cinque miliardi di aiuti previsti dal Def si lamentano un po’ tutti i partiti, a partire dal M5S che chiede uno scostamento di bilancio. “Credo che sia un impazzimento generalizzato che in tempi di guerra, mentre il premier sta cercando di fare il suo lavoro, può determinare che Draghi dica ‘se volete continuare a fare i bambini, vi restituisco le chiavi, gestitevi voi le cose’”, sostiene l’ex ministro.

In realtà nell’incontro avuto ieri con il centrodestra l’ex numero uno della Bce avrebbe ribadito la volontà di dare una mano al Paese continuando il lavoro avviato e smentendo, implicitamente, il sospetto di volersi sfilare dall’incarico prima della fine della legislatura. Ma non c’è dubbio che le pressioni sul premier siano notevoli e nulla può escludere che alla fine butti all’aria i pezzi del puzzle e molli.

Era metà febbraio quando il premier Draghi perse la pazienza dopo che il Governo era andato sotto quattro volte durante l’esame del Milleproroghe alla Camera. In quell’occasione andò dal Capo dello Stato (leggi l’articolo) per metterlo al corrente che avrebbe consegnato ai capidelegazione della maggioranza il suo ultimatum: o si riesce a garantire che i provvedimenti una volta approvati all’unanimità in Consiglio dei ministri passino in Parlamento o il Parlamento si trovi un altro Governo. Una strigliata con i fiocchi che però a quanto pare non ha lasciato il segno.

E Draghi da Sergio Mattarella è ritornato anche nel corso del braccio di ferro col M5S sull’incremento delle spese militari (leggi l’articolo). Corrono le indiscrezioni su dove Draghi possa catapultarsi qualora dovesse lasciare in anticipo Palazzo Chigi. La proroga di un anno fino al 30 settembre 2023 di Jens Stoltenberg pare avergli precluso al momento la Nato.

Il nome del premier rimane in pole per la guida della Nato

Ma il nome di Draghi rimane in pole per la guida dell’Alleanza atlantica. L’atlantismo del premier non è in discussione e la battaglia per mantenere l’impegno preso con la Nato nel 2014 di aumentare le spese militari al 2% del Pil non fa che confermarlo. Ma appunto per la data in cui si libera la poltrona di Stoltenberg la legislatura attuale è già bella che archiviata.

Parlando di Fmi e World Bank a Glasgow, dove ha copresieduto alla fine dello scorso anno l’avvio dei lavori della Cop26, a qualcuno che gli chiedeva se per caso si stesse candidando per qualche posizione internazionale ha risposto: “Io mi candido a leader di qualcosa? No, no, per carità”. Ma nulla si esclude. Se la sua destinazione fosse la Banca mondiale sarebbe un ritorno considerato che dal 1984 al 1990 ne ha ricoperto la carica di direttore esecutivo presso il Cda.