di Andrea Koveos
La ciambella di salvataggio è stata lanciata all’Alitalia. Ma il Gruppo di Sarmi ha subito negli ultimi anni oltre 300 interrogazioni parlamentari. I motivi? Chiusura di uffici, riduzione dell’orario per il pubblico e errata consegna di pacchi. Reclami provenienti da tutta Italia, da Nord a Sud. Non basta. Gli investimenti non sembrano portare bene a Poste che in passato è inciampata perfino in un black out totale che ha impedito ai cittadini di pagare bollette e bollettini, ritirare pensioni e soldi agli sportelli a causa di un nuovo software. Alcuni consumatori hanno perfino proposto una “Class Action” per il pagamento dei danni causati dal disservizio di poste. Sarmi si è sempre vantato dell’utile di esercizio che però da solo non basta a formulare un giudizio complessivo.Il gruppo conta una galassia di 26 società partecipate (21 società e 5 società consortili) divise in quattro aree: servizi postali, finanziari, assicurativi e altri servizi. E non tutte sono in attivo. Anzi.
Al di là dei numeri di bilancio con il segno positivo, il voto sull’ attività del settore postale è al di sotto della sufficienza. Lo dice l’ultima relazione della Corte dei Conti che parla di “lentezza delle operazioni, problemi di adeguatezza per la funzione recapito per circa il 23% delle strutture territoriali e per circa il 15% per le giacenze della corrispondenza”. C’è di più. “A ciò consegue una percezione talvolta negativa della qualità del servizio, nel rapporto con l’utenza e da parte dei mass media, che non è coerente con quelli che sono, invece, gli esiti favorevoli del monitoraggio di qualità della posta”.
Macigni sfuggiti forse a quegli stessi investitori francesi che dovrebbero pagare l’aumento di capitale senza colpo ferire. Poste italiane, dunque, continua a fare utili milionari, ma per quel che riguarda i servizi tradizionali lascia a desiderare. Basta girare per i magazzini della Sda società del Gruppo che si occupa di spedizioni espresse nazionali e internazionali di buste e pacchi per esser d’accordo con i giudici contabili. E ci vuole poco per capire quali siano le condizioni in cui sono costretti a lavorare i futuri colleghi di Alitalia. Nella sede di via Corcolle, accanto all’Hub Roma 1, uno dei tre mega magazzini dove vengono smistati i pacchi, il paesaggio è post bellica.
Il caso Sda
La struttura di circa quattromila metri quadrati ospita 50 dipendenti Sda, 150 corrieri e altri 150 facchini. Un bel numero di persone costrette a usare bagni sporchi, fatiscenti e senza alcun tipo di precauzione igienica. Sda da qualche anno si serve di una serie di intermediari (cooperative) per ridurre i costi della forza lavoro. Risultato: peggioramento del servizio e, secondo quanto denunciano i sindacati, sfruttamento degli operai.
I corrieri, soci delle cooperative appunto, sono assunti con contratti Co.co.co, quando va bene e in nero quando va male. Questi dipendenti che hanno il compito di consegnare la corrispondenza percepiscono circa 62 euro senza pagamento di alcun straordinario. Leggendo l’ora di registrazione di entrata e uscita dei furgoni alcuni arrivano a lavorare 7 alle 22 con un carico fino a 150 colli al giorno. Impossibile dunque consegnare nelle 24 ore stabilite. Per non parlare del servizio clienti, del numero verde o del servizio web di Sda. Le mail dei destinatari che lamentano il ritardo dei loro pacchi sono quotidianamente ignorate, salvo rispondere un paio di giorni dopo che il plico è stato regolarmente consegnato. Ma dove e quando non è dato sapere. E visto che i furti e le sparizioni sono in aumento, esiste la possibilità che il pacco sia perduto per sempre.
La spasmodica ricerca di un profitto a tutti i costi ha prodotto una serie di disservizi che stanno stremando i clienti.. Ecco come un bilancio in attivo sia condizione necessaria ma non sufficiente per giudicare un’azienda. Un’azienda pubblica che dovrebbe investire di più nella qualità dei servizi offerti ai cittadini e che invece si concentra su altro.