Una politica rinchiusa nel Palazzo

di Gaetano Pedullà

Più il potere è debole più si arrocca nel Palazzo. La storia è piena di capi di Stato, monarchi e Zar travolti dalla piazza dopo l’assedio di parlamenti e residenze reali. Piazza Montecitorio ieri richiamava quegli eventi. Dentro il premier Letta si prendeva la fiducia, fuori in centinaia manifestavano. Dentro ci dicevano che l’economia sta migliorando, fuori la gente protestava disperata. Adesso, messo in chiaro che dietro i forconi c’è di tutto, dalla criminalità a ogni tipo di frangia decisa a destabilizzare il Paese (si veda il lungo servizio sulla Notizia di ieri), è innegabile che il disagio degli italiani ha superato la soglia critica. Per questo dal governo ci si attende la fine di un lungo gioco in difesa e l’inizio di una nuova fase all’attacco. Ieri è questo che ha promesso Letta, non lasciando però seguire alle parole i fatti. Che differenza c’è tra i primi mesi di governo, sostanzialmente inconcludenti, e una legge di stabilità che resta depressiva? Che novità ci sono nel rapporto con l’Europa, a parte la consapevolezza delle sue tante contraddizioni? E può bastare l’annuncio di un nuovo patto di governo – impegno 2014 – per tracciare il solco tra una politica degli annunci e una politica che fa le cose? Meglio dunque non illudersi. L’uscita di Berlusconi dalla Larghe intese non cambia il dna di un esecutivo con poca fantasia, più preoccupato di non farsi sgridare dalla Merkel che degli italiani tartassati. Un governo che non dice dove troverà 45 miliardi solo per rispettare gli impegni europei dell’anno prossimo. Se non ci sono soldi, alla piazza che preme bisogna dare almeno una speranza. Illusioni no, ma un progetto vero, un grande piano di sviluppo (con l’Europa o contro l’Europa) è il minimo che un governo possa dare di fronte a una crisi epocale. Limitarsi a vivacchiare significa non aver capito che fuori dai Palazzi il Paese brucia. La stessa storia di monarchi e Zar.