Venti irriducibili tra i 5 Stelle. Fuori dal Movimento chi vota contro il Governo. La fiducia “non sarà una cambiale in bianco”

Venti irriducibili tra i 5 Stelle. Fuori dal Movimento chi vota contro il Governo. La fiducia “non sarà una cambiale in bianco”

La fiducia sia al Senato che alla Camera “non sarà una cambiale in bianco”. I parlamentari del Movimento cinque stelle continuano a ripeterlo in ogni chat, ogni messaggio, ogni telefonata. L’obiettivo dichiarato è quello di contenere il più possibile potenziali dissidenti interni al Movimento e, dunque, potenziali no al governo di Mario Draghi. Sia a Palazzo Madama (il cui voto ci sarà oggi) sia a Montecitorio (domani). La partita è piuttosto complessa. “Chi vota no alla fiducia – confermano i vertici pentastellati – automaticamente si pone al di fuori del Movimento perché significa non rispettare il voto di Rousseau”.

Ecco perché dissidenti in questa fase già vuol dire “ex grillini”. Contrariamente a quanto detto anche dal capo politico Vito Crimi molto probabilmente atteggiamento diverso sarà tenuto con chi deciderà per l’astensione: in queste ore c’è chi valuta di poter “perdonare” un voto che, seppure non è di piena fiducia, non è neanche di aperta opposizione. Ma se fino a ieri qualunque osservatore avrebbe parlato di 30-40 parlamentari pronti a uscire dal Movimento, oggi le cose sono cambiate. Determinante, ancora una volta, è stato Giuseppe Conte. Che la nascita dell’integruppo Pd-M5S-Leu proprio al Senato (leggi l’articolo) e proprio il giorno prima del voto di fiducia sia un chiaro segnale, non c’è dubbio.

Che dietro ci sia l’ex presidente del Consiglio è altrettanto chiaro: a parlare dopo i capigruppo Ettore Licheri e Andrea Marcucci è stato proprio Conte, ribadendo l’importanza di tale iniziativa “giusta e opportuna”. E, soprattutto, un’iniziativa che ha il chiaro fine di far pesare la coalizione ancora di più nelle logiche di maggioranza e, ancora, di affermare con forza che non si può più prescindere dal “nuovo” centrosinistra. Una trovata che certamente ha convinto tanti indecisi a rientrare nello schieramento.

IL QUADRO. Anche perché quello che, raccontano alcuni pentastellati, parlamentari come Barbara Lezzi, Mattia Crucioli (nella foto), Pino Cabras e così via si aspettavano da Alessandro Di Battista (alcuni dicono che glielo avrebbero proprio chiesto…), è che fondasse una nuova forza politica, una sorta di Movimento 2.0. Di Battista, tuttavia, pur nel suo essere profondamente critico, non si vede in politica se non nel Movimento cinque stelle. Con tutti i limiti del caso. Ed ecco allora che per molti, pur nel loro essere critici, non avere un’alternativa significa preferire il Movimento a qualsiasi altra opzione.

In altre parole, “la combo tra Di Battista che non si è lanciato in una nuova avventura politica e Conte che, invece, ha fatto il tanto atteso passo in avanti ha ridotto la forbice dei dissidenti”. Questo, tuttavia, non vuol dire che le acque si siano rasserenate. La profonda spaccatura resta, quello sì. Parlare di scissione, però, è esagerato. A conti fatti, dicono diversi parlamentari “contiani, non si dovrebbe andare oltre la ventina di dissidenti e, dunque, di espulsi. Quindici circa a Palazzo Madama (Barbara Lezzi, Mattia Crucioli, Bianca Laura Granato in testa e, forse, anche Nicola Morra) e meno di dieci alla Camera (i certi Francesco Forciniti, Pino Cabras e Andrea Colletti).

Un numero che resta evidentemente importante ma che simboleggia anche il riuscito tentativo del “lodo Brescia”, la linea tracciata – e ieri ribadita nell’intervista a La Notizia – da Giuseppe Brescia: nessuna cambiale in bianco, ma spirito critico per incidere sulle azioni di governo non lesinando alcuna critica a forze politiche poste a una distanza siderale dal Movimento, come Lega e Forza italia, e allo stesso Draghi. Non bisogna dimenticare, infine, che per una sorta di coincidenza astrale l’inaugurazione del nuovo governo coincide anche col probabile passaggio interno a M5S dalla leadership individuale al direttivo a 5.

Un passaggio che secondo alcuni potrebbe, tuttavia, essere un altro elemento che terrà a freno ulteriori dissensi: avere un organo collegiale permetterà al Movimento scelte maggiormente condivise, dopo la stagione – secondo molti, anche contiani, fallimentare di Crimi al comando del Movimento. Soprattutto nell’ultima fase tra consultazioni e fiducia a Draghi.