Volano stracci nel Pd tra chi invoca il congresso subito e chi vuole rinviarlo. E dopo la débâcle ora c’è pure chi propone lo scioglimento del partito

Congresso sì, congresso no. Volano stracci nel Pd di Letta dopo la catastrofica sconfitta alle urne e la vittoria della Meloni.

Volano stracci nel Pd tra chi invoca il congresso subito e chi vuole rinviarlo. E dopo la débâcle ora c’è pure chi propone lo scioglimento del partito

Volano stracci nel Pd. Tra chi invoca il congresso a gran voce, chi rigetta l’ipotesi di un cambio di vertice e chi invece è convinto che il partito sia ormai giunto al capolinea appaiono ormai in modo sempre più evidente le spaccature che compongono il gruppo politico.

Volano stracci nel Pd tra chi invoca il congresso e chi lo respinge

Si contano vittime e feriti nel Partito Democratico dopo la catastrofica campagna elettorale di Enrico letta e la clamorosa débâcle alle urne del Centrosinistra. Nel corso dell’intera campagna, piuttosto che parlare di temi e offrire al Paese risposte valide per fronteggiare il caro bollette e la crisi economica che sta mettendo in ginocchio l’Italia da Nord a Sud, il segretario dem ha preferito scagliarsi contro Giorgia Meloni e puntare tutto sulla paura, paventando lo spettro del ritorno del fascismo al potere. Il ritornello è stato riproposto in ogni piazza e in ogni studio televisivo. Ma la realtà dei fatti è che Letta sta raccogliendo i frutti di una gestione sgangherata della campagna elettorale e non può far altro che incolpare se stesso per aver scelto di recidere l’alleanza con il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte – considerato come il responsabile della vittoria del Centrodestra ancora dopo i risultati scaturiti dalle urne – e di dare fiducia all’imprevedibile Carlo Calenda che, dopo appena 48 ore dal patto elettorale siglato, si è tirato indietro facendo saltare il sodalizio.

In un clima fatto di tensioni e malumori, è partito il totonome in attesa del congresso e aumentano i possibili candidati alla successione di Letta, tra cui spiccano soprattutto i nomi di Stefano Bonaccini ed Elly Schlein. Il cambio di vertice, tuttavia, non è così scontato e sulla questione proliferano opinioni contrastanti tra chi aspetta il congresso con trepidazione, chi si oppone alla sostituzione dell’attuale segretario dem e chi è certo che il Pd sia ormai morto.

La débâcle alle urne ha acceso un faro sulle spaccature dei dem: la posizione di Rosi Bindy

“Quando Letta divenne segretario, mi permisi di dargli un consiglio: il Pd sostenga con lealtà il governo Draghi, ma non si dica al Paese che questo è il nostro governo. Il Pd non doveva identificarsi con l’agenda Draghi, ammesso che sia mai esistita, perché si trattava di un governo di larghe intese. Bisognava garantire lealtà, sì, ma guardando al futuro. Come sulla guerra: non doveva esserci nessun dubbio da che parte stare, ma come starci forse sì, per esempio rivendicando l’autonomia dell’Europa nell’Alleanza atlantica. Se ti appiattisci sul governo Draghi, è naturale che non puoi fare alleanze con chi lo fa cadere”, ha dichiarato Rosi Bindy in un’intervista rilasciata a La Stampa.

Santori parla di “fase ricostituente” per il Pd

Per il leader delle Sardine Mattia Santori, invece, il Pd dovrebbe cambiare “insegna” e dare inizio a una “fase ricostituente” per poter ripartire e “federare le energie del campo progressista”. “Nessuno sarà disposto a entrare in un partito dove si sa già che decidono tutto Dario Franceschini, Enrico Letta e Andrea Orlando ma in tanti saranno disposti a entrare in un soggetto sano, che li faccia sentire coinvolti in prima persona”, ha osservato Santori.

La “sardina”, inoltre, nell’intervista rilasciata a Repubblica, ha offerto il suo punto di vista sulla sconfitta elettorale. “Oltre a parlare di crisi e depressione, bisogna dire come nascono la responsabilità. La prima è stata di Giuseppe Conte, che ha fatto cadere il governo e la seconda di Carlo Calenda che ha fatto naufragare il “campo larghino”. Le responsabilità del Pd sono innegabili, ma vanno inquadrate nel contesto e noi adesso dobbiamo parlare di come si crea una nuova generazione politica all’interno di un partito”, ha dichiarato. Per Santori, l’obiettivo del Pd non deve essere un mero cambio di vertice ma si dovrebbe procedere a rifondare il partito coinvolgendo personalità come Marco Cappato, Antonella Soldo o Fabrizio Barca. “Bisogna cambiare anche l’insegna, cioè nome e simbolo. Non è più un marchio attrattivo, i risultati lo dimostrano”, ha rimarcato il leader delle Sardine cristallizzando in modo definitivo il fallimento dei dem.