Agenzie fiscali senza concorsi, il Governo ignora la Consulta. Incarichi assegnati a discrezione personale

Quel concorso non s’ha da fare. In barba alla meritocrazia, le Agenzie Fiscali, che fanno capo a Padoan, continuano ad andare avanti con il vecchio schema.

Quel concorso non s’ha da fare. In barba alla meritocrazia, le Agenzie Fiscali, che fanno capo al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, continuano ad andare avanti con il vecchio schema: quello della promozione a discrezione. A niente è servita nemmeno la sentenza della Corte Costituzionale, risalente al marzo 2015, che ha imposto una selezione pubblica, facendo peraltro decadere centinaia di dirigenti giudicati illegittimi e indicando che i posti vacanti fossero momentaneamente occupati dai funzionari più alti in grado. Ma nel decreto Milleproroghe, approvato dal Parlamento, è arrivato il via libera allo slittamento dei bandi per quei posti.

Solita musica – L’ennesimo rinvio ha prodotto un risultato logico: gli incarichi possono essere attribuiti ancora su base personale ignorando i principi di merito personale. Per scansare i concorsi sono state sufficienti giusto poche righe: “Si proroga dal 31 dicembre 2016 al 31 dicembre 2017 il termine entro il quale le Agenzie fiscali possono concludere nuovi concorsi per dirigenti”, è scritto nel decreto. Il metodo serve a temporeggiare, ma in realtà potrebbe risultare vincente anche sul lungo periodo. Il motivo è semplice: il meccanismo della proroga può andare avanti ancora a lungo, visto che non esiste un limite di legge agli slittamenti.

L’esito – Ma come è possibile che per le tre Agenzie fiscali, quella delle Entrate, del Demanio, delle Dogane e dei Monopoli riescano ad aggirare il pronunciamento della Consulta? Facile, è bastata l’introduzione delle Posizioni organizzative speciali (Pos) e delle Posizioni organizzative a tempo (Pot) per distribuire quelle poltrone che fanno da raccordo tra il dirigente e l’impiegato (l’equivalente del quadro nel settore privato). Le uniche differenze con il passato sono la cancellazione della dizione “dirigenti” e il mini taglio agli stipendi: rispetto agli emolumenti originali, chi occupa le caselle di Pot e Pos percepisce appena un 10% in meno. Ma, grazie a questa operazione, molte delle figure decadute con la sentenza della Corte costituzionale sono prontamente ritornate in sella. Anche perché il gioco delle sigle Pot e Pos ha trovato una preziosa sponda nella proroga dei concorsi, attuata dal Governo. Con il ministro di Padoan spettatore silente di fronte al caso.

Malcontento – I sindacati hanno denunciato tutto il malcontento che sta creando la situazione. E che rischia di causare strascichi: “Gli addetti ai lavori hanno capito che con il Milleproroghe viene preso altro tempo e legittimamente manifestano malcontento e delusione”, attacca Pietro Paolo Boiano, vicesegretario della Dirstat, la Federazione dei sindacati nazionali dei dirigenti e dei direttivi. “E dire – aggiunge – che sono queste persone chiamate a combattere l’evasione fiscale, che non è un optional, ma un imperativo categorico. È una lotta difficile e non proprio una gita fuori porta”.

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