La truppa è alla fame

di Clemente Pistilli

Non volevano solo un’indennità, ma una maxi indennità. E comunque non un centesimo in meno di quanto era stato dato al capo della Polizia. Rimasti senza l’auspicato superbonus, due generali e un ammiraglio non ci hanno pensato troppo su e hanno mosso guerra a quello Stato che non gli aveva concesso quanto da loro auspicato. Una guerra sul fronte del diritto, che ha visto schierati da una parte tre capi di Stato Maggiore e dall’altra la presidenza del Consiglio dei ministri e i Ministeri della difesa e dell’economia e finanze. Questa volta, però, l’operazione non è riuscita ai graduati, né per mare né per cielo, e il Tar ha deciso di evitare l’ennesima emorragia di denaro pubblico. Mini o maxi i generali Mario Arpino, Andrea Fornasiero e l’ammiraglio Umberto Guarnieri dovranno tenersi l’indennità loro concessa.

I big three
A cercare per via giudiziaria di ottenere un po’ di soldi in più sono stati due ex capi di Stato maggiore dell’Aeronautica militare e un ex capo di Stato maggiore della Marina. In campo contro Palazzo Chigi e due ministeri sono scesi Mario Arpino, generale dell’Arma Azzurra, durante la guerra del Golfo capo del coordinamento aereo in Arabia Saudita, pluridecorato, in passato capo di Stato maggiore anche della Difesa e attualmente nel direttivo dell’Istituto affari internazionali, il generale Andrea Fornasiero, successore di Arpino come capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica e comandante delle operazioni militari in Bosnia, e l’ammiraglio Umberto Guarnieri, tra il 1998 e il 2001 al vertice della Marina e di recente incappato nell’accusa di omicidio colposo per i tanti marinai morti tra il 1984 e il 2001, secondo gli inquirenti a causa dell’amianto presente sulle navi militari, una vicenda per la quale il processo inizierà il prossimo 25 marzo.

Provvedimento sgradito
I tre graduati hanno impugnato il decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2001, con cui è stata loro attribuita l’indennità per la carica di capo di Stato Maggiore rivestita. Il decreto, varato dall’allora premier Giuliano Amato, ha fissato la speciale indennità al 60% dello stipendio previsto per i dirigenti generali dello Stato. Ai due generali e all’ammiraglio non è andato bene, visto che poco prima era stata fissata una somma superiore per il capo della Polizia e hanno fatto ricorso, chiedendo al Tar del Lazio di annullare quel provvedimento. Ma niente da fare. I giudici amministrativi hanno ora avallato l’operato del Governo, sostenendo che le speciali indennità vanno “ad incidere significativamente sugli emolumenti di coloro che ricoprono posizioni apicali nello Stato, con importanti conseguenze sul bilancio dello Stato e dunque sul rispetto degli impegni intrapresi a livello comunitario” e che per tale ragione, “anche in linea con le più recenti tendenze legislative in cui ci si pone quale obiettivo centrale quello di contenere il più possibile trattamenti economici di questo tipo”, non possono essere estese ad altri, “compresa la figura di capo di Stato Maggiore”.

Ma qualcosa recuperano
Sempre il Tar del Lazio ha però ritenuto fondata la lamentela dei tre graduati sul periodo da cui gli doveva essere corrisposta l’indennità. Per legge tale bonus doveva scattare infatti dal 1998, ma con lo stesso decreto varato da Amato era stato dato ai tre soltanto dal 1 gennaio 2000. I giudici amministrativi hanno così stabilito che i due generali e l’ammiraglio dovranno essere risarciti per i due anni in cui non hanno ottenuto l’indennità a cui avevano diritto. Non sarà quella maxi che loro volevano. Sarà un’indennità all’insegna del risparmio programmato da Amato, d’intesa con i ministri della difesa Sergio Mattarella e del tesoro Vincenzo Visco, ben prima che iniziasse la crisi, ma sempre meglio che niente. Guerra persa per i tre capi, ma posizione guadagnata.

 

Per i soldati stipendi bloccati da 5 anni

di Antonio Rossi

Se i generali si arrabbiano e ricorrono alle carte bollate per avere indennità maxi, le truppe sono prive anche delle retribuzioni mini. Sottufficiali e soldati sono alla fame. E i rapporti tra le rappresentanze delle forze armate e il ministro della difesa, Mario Mauro, sono sempre più tesi. Tanto i militari quanto in generale il comparto sicurezza è da anni in affanno, con stipendi medi che si aggirano sui 1.300 euro. Altro che maxi emolumenti. Quanti ogni giorno rischiano la pelle a difesa dei cittadini, in patria o nelle missioni di pace all’estero, non riescono neppure ad arrivare alla fine del mese e il futuro, quello in cui dovrebbero andare in pensione è ancora più nero. Non si contano più le proteste dei sindacati e dei consigli centrali di rappresentanza, i cosiddetti Cocer.
Gli stipendi sono stati bloccati per cinque anni e, mentre ad esempio per gli insegnanti il Governo una soluzione l’ha trovata, gli appelli di chi indossa una divisa sono caduti sinora nel vuoto. Bloccata anche la progressione economica, assegni funzionali e indennità, che dava un po’ di ossigeno alle truppe e rappresentava un piccolo incentivo. Ma c’è di più. Senza risolvere il problema delle truppe rimaste con la pancia vuota e senza speranze, è in atto il cosiddetto riordino delle carriere. Una piccola rivoluzione, che dovrebbe tradursi in una serie di tagli per ridimensionare il numero degli effettivi e in maggiori investimenti. Un provvedimento che non va proprio giù ai militari. “In questo Paese – hanno di recente sostenuto i rappresentanti dei finanzieri – chi lavora in silenzio, con responsabilità, rispettando le regole, è sempre sistematicamente fregato”. Il Cocer, scrivendo al ministro Mauro per contestare il provvedimento così come è stato approntato, è stato ancor più diretto, definendo il testo sul riordino delle carriere irricevibile.
Il consiglio di rappresentanza dei militari ha poi specificato che, per tornare a discutere sul tema, è indispensabile risolvere subito il problema degli stipendi per i militari, facendo arrivare loro un minimo di sostegno, ed eliminare il blocco degli stipendi, che da norma transitoria, finalizzata a risolvere problemi contingenti di crisi, nel comparto difesa sta diventando un taglio definitivo. Va bene insomma fare sacrifici e tirare la cinghia, ma a farli non possono essere sempre e solo i servitori dello Stato. A forza di tirare la cintura quanti indossano la divisa sono ormai arrivati all’ultimo buco e loro non ce la fanno davvero più.