Pansa, una penna che fendeva. Il ricordo di un collega che a lungo gli è stato accanto. Nulla lo piegò più del dolore per la morte del figlio

Che dire se non che è stato un grande giornalista, un maestro per tanti, un innovatore, un magnifico cronista. Un superbo inventore di immagini e metafore. Un uomo di successo, cui la vita tuttavia non ha risparmiato il supremo dei dolori: sopravvivere a un figlio, amatissimo, scomparso prematuramente qualche anno fa. E chissà perché questo è il particolare che negli ultimi anni mi è rimasto più in testa di lui.

Ho avuto come collega di lavoro Giampaolo Pansa per oltre un ventennio. Dirimpettai all’ammezzato della redazione mitica de L’Espresso in via Po 12 a Roma. Mattiniero, come pochi, perennemente attaccato al telefono e a divorare giornali, arrivò con Claudio Rinaldi direttore in una calda estate del 1991. Brillanti, accumunati da una straordinaria intesa, portarono in quel tempio del giornalismo una ventata nuova. E anche una certa estraneità rispetto a quella che sino ad allora era stata la nostra storia. E se si capisce per Claudio – uno dei giornalisti più intelligenti, sottili e talentuosi che abbia conosciuto – che in fondo fino a pochi mesi prima aveva diretto Panorama, il principale concorrente, resta un po’ più indecifrabile per lui, che pur arrivando dalla condirezione di Repubblica, dunque dal medesimo gruppo editoriale, si portava tuttavia una storia complicata per precedenti tentativi di innesto non riusciti.

Erano i tempi di Livio Zanetti, altro maestro e autentico protagonista dei successi editoriali ed economici che nel 1974 aveva ideato per il settimanale il fortunato passaggio di formato dal famoso lenzuolo al moderno tabloid. E Zanetti faceva un giornale diverso, più portato all’analisi e agli scoop, a coltivare notizie. Un modo più elaborato, profondo e complicato di fare giornalismo. Ecco, il primo tentativo di innesto di Giampaolo non riuscì. Eppure di scoop e colpi giornalistici ne aveva fatti tanti, inutile elencarli, ne stanno scrivendo tutti. Solo che geloso della autonomia de L’Espresso a Zanetti non piaceva confondere firme con Repubblica, ma soprattutto non riteneva magari indispensabile l’apporto di un collega che per quanto già bravo e famoso magari, chissà, non era ritenuto indispensabile in un parco di firme e collaboratori che meglio incarnavano lo spirito del giornale del tempo.

Ha dato comunque un contributo formidabile a L’Espresso, Giampaolo, pur se distratto dalle sue altre attività editoriali, a cominciare da quelle legate a rivisitare (o a revisionare) la storia della Resistenza, sulla quale non è il caso qui di dilungarsi. Ed ha lasciato in tutti noi un ricordo indelebile. Peccato non abbia alzato la voce e non si sia opposto per evitare alcune scelte sbagliate che hanno contribuito al declino del giornale. Ma va bene lo stesso cosi. Ha fatto sentire sempre la sua voce ai lettori, affermando ogni volta la sua indipendenza. Ci mancherà.
(L’autore è un ex giornalista dell’Espresso e senatore della Repubblica)