La Sveglia

75.000 morti dopo, il mondo ha cambiato canale

Ogni giorno, a Gaza, si muore per un sacco di farina. Si muore davanti ai centri di distribuzione degli aiuti, sotto i colpi di fucile di soldati che sparano su civili disarmati. Oltre 500 persone sono state uccise in queste “file della fame”, mentre l’attenzione del mondo si spostava altrove, sulle fiammate geopolitiche tra Israele e Iran. L’annientamento sistematico continua, ma lo sdegno si è dissolto.

Le cifre parlano da sole. Il Ministero della Sanità di Gaza registra 56.331 vittime, ma secondo un recente studio indipendente le morti violente sarebbero almeno 75.000, con 8.500 decessi per fame, infezioni, collasso del sistema sanitario. I valichi sono chiusi, gli aiuti insufficienti, e la fame è diventata una forma di guerra. Perfino Unicef è costretta a ricordare l’ovvio: non si può chiedere ai civili di entrare in una zona di combattimento e poi ucciderli perché sono in una zona di combattimento.

Nel frattempo, l’Occidente applaude in silenzio. Gli Stati Uniti, con l’ambasciatore Mike Huckabee, ormai neppure fingono di credere nella soluzione dei due Stati. L’Unione Europea, pur consapevole che Israele viola l’accordo commerciale con Bruxelles, non muove un dito. Solo Pedro Sánchez, ancora una volta, invoca la sospensione dell’intesa. Il resto è complicità.

Benjamin Netanyahu prepara le elezioni. Serve la gloria, non la pace. Serve l’illusione di un successo militare. Nella sua coalizione, la “fase successiva” non è la ricostruzione, ma la rimozione dei palestinesi dalla storia. E intanto, nella Cisgiordania occupata, 943 palestinesi sono stati uccisi dal 7 ottobre. Gaza è diventata un modello. Un modello da esportare.