Pil, industria, Cig e salari reali: l’economia italiana è al collasso

Il Pil torna in negativo, il fatturato dell'industria crolla, le ore di Cig aumentano e anche sui salari reali l'Italia arranca.

Pil, industria, Cig e salari reali: l’economia italiana è al collasso

Uno dietro l’altro. Nel giro di pochissime ore una doccia gelata dopo l’altra per il governo e per il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. L’Istat certifica il calo del Pil e il crollo del fatturato dell’industria, oltre a ricordare il dramma dei salari reali. L’Inps evidenzia il netto aumento del ricorso alla cassa integrazione e i dazi al 15% negoziati da Ue e Usa non faranno che peggiorare la situazione. Un quadro fosco, che il governo nega ritenendo che non ci siano problemi sul fronte economico. Smentito, ancora, dai dati.

Dal Pil al fatturato dell’industria, segno meno fisso

Partiamo dalla crescita. Anzi, dalla decrescita. Le stime preliminari dell’Istat evidenziano un Pil in calo dello 0,1%, stando al dato corretto per effetti di calendario e destagionalizzato. In termini tendenziali, invece, l’aumento è molto contenuto: +0,4%. Resta, senza dubbio, un’economia in affanno, dopo la crescita dello 0,3% nel primo trimestre (comunque molto più bassa che in Ue). La crescita acquisita per il 2025, secondo l’Istat, è dello 0,5%, inferiore rispetto alle ultime previsioni del governo che indicavano un +0,6% annuo. Cifra ribadita anche da Giorgetti che, anzi, sostiene che siano stime prudenziali. Il calo trimestrale del Pil riflette una diminuzione del comparto agricoltura, silvicoltura e pesca e anche di quello industriale.

Sul fronte della crescita, c’è poco da festeggiare anche in Europa, con un rallentamento rispetto al primo trimestre, quando l’eurozona aveva registrato un +0,6% e l’Ue un +0,5%. Nel secondo trimestre, invece, il Pil è cresciuto dello 0,1% nell’eurozona e dello 0,2% in Ue, stando alla stima flash di Eurostat. Su base annua, il Pil è aumentato dell’1,4% nell’eurozona e dell’1,5% in Ue. Guardando agli altri big europei, simile alla nostra è la situazione della Germania: dopo il +0,3% del primo trimestre registra un calo dello 0,1%. Meglio del previsto va invece la Francia, con una crescita dello 0,3% (dopo il +0,1% del primo trimestre). La migliore è ancora la Spagna (+0,7%), seguita da Portogallo (+0,6%) ed Estonia (+0,5%). Ma i dati negativi per l’Italia non sono solo quelli relativi alla crescita. Sempre l’Istat, infatti, testimonia il crollo del fatturato dell’industria, diminuito in termini congiunturali del 2,2% in valore e del 2,3% in volume. Un netto calo si registra anche nei servizi: -0,9% in valore e -0,4% in volume. Inoltre, anche su base tendenziale il fatturato dell’industria registra una flessione dell’1,8% in valore e del 2,6% in volume.

La crisi anche del lavoro

Non va meglio sul fronte del mondo del lavoro. In questo caso la doccia fredda arriva dall’Inps, che certifica un netto aumento delle ore di cassa integrazione autorizzate nel mese di giugno: sono state 46,034 milioni, in aumento del 6,9% rispetto a maggio e addirittura del 30,4% su base annua. Nel secondo trimestre del 2025, il numero di ore è stato di 137,1 milioni, in aumento rispetto al secondo trimestre del 2024, quando il dato si fermava a 120,6 milioni (ma in flessione rispetto al primo trimestre di quest’anno). L’incremento tendenziale, spiega l’istituto di previdenza, è riconducibile soprattutto alle difficoltà del settore metalmeccanico. Allo stesso tempo, c’è poco da festeggiare anche sul fronte dei salari.

La crescita della retribuzione oraria media (+3,5% nel periodo gennaio-giugno rispetto al 2024) non è sufficiente per compensare anni di crisi. Infatti l’Istat sottolinea come le retribuzioni in termini reali siano ancora di circa 9 punti al di sotto dei livelli del gennaio 2021, a causa dell’inflazione. A giugno l’indice delle retribuzioni contrattuali è aumentato dello 0,5% rispetto al mese precedente e del 2,7% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Valori che fanno rimanere lontanissimo l’obiettivo di recuperare il potere d’acquisto perso. Anche perché molti contratti collettivi nazionali sono scaduti: alla fine di giugno, sono 44 quelli in vigore per la parte economica e riguardano poco più del 56% dei dipendenti (circa 7,4 milioni), corrispondendo al 54% del monte retributivo complessivo. I contratti in attesa di rinnovo sono ben 31, coinvolgendo circa 5,7 milioni di dipendenti (il 43,7% del totale). Il tempo medio di attesa per il rinnovo dei contratti scaduti è passato, da giugno 2024 a giugno 2025, da 27,3 a 24,9 mesi. E così i salari reali restano fermi al palo, con il recupero del potere d’acquisto che resta un miraggio. Così i consumi arrancano e anche l’economia, come dimostrano i dati sulla crescita, non riesce a ripartire.