Fanno finta di cadere dal pero, ma è tutto nero su bianco. L’occupazione totale della Striscia da parte di Israele non è un’ipotesi: è un piano. Netanyahu l’ha deciso e lo ha detto, mentre convocava il gabinetto di sicurezza. Non è la deriva di un fanatico isolato, è l’obiettivo dichiarato di un governo che al fanatismo ha affidato le leve del potere. E non c’è bisogno di leggere tra le righe: i ministri Smotrich e Ben Gvir l’avevano già invocata a ottobre. Oggi ne discutono solo i dettagli.
Nel frattempo, Gaza muore. Ieri almeno 74 vittime nei raid. Tre palestinesi sono stati uccisi mentre aspettavano gli aiuti. Altri otto sono morti di fame, secondo il ministero locale della Salute. Si muore per le bombe e per il blocco. Si muore per la fame, ma è la fame d’Israele a uccidere. Una fame di terra, di cancellazione, di dominio. Il finto stupore degli editorialisti, degli analisti, dei diplomatici che si fingono sorpresi è il contorno grottesco di questa pulizia. Fingono di non sapere ciò che Netanyahu e soci vanno ripetendo da mesi: che non esiste Gaza senza Israele, che Hamas è solo un alibi, che gli ostaggi servono solo per procrastinare lo sterminio.
Chi si ostina a parlare di soluzione politica mentre si moltiplicano gli eccidi, chi chiede garanzie sul “dopoguerra” mentre Gaza viene polverizzata, è complice. Le dichiarazioni di Ben Gvir, la convocazione del gabinetto militare, gli elogi di Trump, le tensioni con l’Idf: tutto mostra che non c’è alcun interesse per la pace, solo l’ansia di completare la distruzione. Il crimine non è futuro: è in corso. E chi lo scopre oggi, troppo tardi, dovrebbe almeno avere il pudore di tacere.