Bersani voleva smacchiare il giaguaro. Alla fine però la macchia ha avuto un effetto boomerang e ha finito per sporcare la sua segretaria, finita nei guai per truffa ai danni della regione Emilia Romagna

di Stefano Filippi del Giornale

Truffa aggravata ai danni della regione Emilia-Romagna: è il capo d’accusa che la procura di Bologna contesta alla storica segretaria di Pier Luigi Bersani, Zoia Veronesi. Il pm Giuseppe Di Giorgio ha chiuso le indagini, ha inviato all’indagata il relativo avviso e si prepara a chiederne il rinvio a giudizio. Lo stratagemma in cui si sarebbe articolata la truffa è questo. Zoia Veronesi è la fedele segretaria dello smacchiatore di giaguari fin da quando egli governava la regione Emilia-Romagna. Quando Bersani si trasferì da Bologna a Roma per diventare ministro e poi fare carriera nel Pd, la signora Veronesi l’ha seguito. E per quasi due anni l’ha fatto a spese della regione. Vasco Errani, successore di Bersani, pensò bene di aprire una rappresentanza speciale a Roma. L’Emilia-Romagna aveva assoluta necessità di un «raccordo con le istituzioni centrali e con il Parlamento». E Zoia Veronesi, dipendente della regione medesima con un inquadramento da dirigente professionale, fu distaccata a quell’ufficio. Ma fungeva da raccordo per il solo Bersani, cioè ha continuato a lavorare come assistente dell’ex numero 1 del Pd. Questa l’ipotesi accusatoria.

Ovviamente c’è una parte aggiuntiva, quella economica. Cioè lo stipendio versato dalla regione a una dipendente che lavorava per un signore che con l’Emilia-Romagna non c’entrava più nulla, anzi guidava un partito finanziato da denaro pubblico. Si tratterebbe di circa 140mila euro lordi per la retribuzione versata a Zoia Veronesi nei due anni di distacco da Bologna a Roma, dal 1° giugno 2008 al 28 marzo 2010, più altri 16mila di rimborsi spese connessi: viaggi, alloggio, pranzi e cene. Le due date non sono casuali. Il trasferimento coincide con l’inizio della nuova legislatura, mentre dopo due anni la signora Veronesi si dimise dalla regione per essere assunta dal Partito democratico. Guarda caso, a metà del marzo 2010 il Resto del Carlino e il Giornale avevano sollevato il sipario sulla vicenda mentre Enzo Raisi, deputato del Pdl e poi del Fli, aveva presentato un’interrogazione parlamentare. Ma il 2010 è anche l’anno in cui si dimise il sindaco di Bologna, Flavio Delbono, per uno scandalo legato proprio all’inquadramento in regione della segretaria, Cinzia Cracchi, che era anche la sua fidanzata.
Zoia Veronesi (il cui legale, Paolo Trombetti, respinge tutte le accuse come «prive di fondamento») è l’ombra dell’ex segretario del Pd da quando egli mosse i primi passi in politica. Fu assunta in regione nel 1993, anno in cui Bersani ne divenne presidente. Ogni volta che le fu possibile, l’ha seguito: come parlamentare, ministro, capo del partito. Ottenne una prima aspettativa dalla regione tra il 1996 e il 2001, allorché Bersani lasciò la presidenza della Regione per fare il ministro (Industria e Trasporti) nei quattro governi di centrosinistra di quella legislatura. Tornò quindi in regione come dirigente (benché priva della laurea), non più semplice dipendente, assunta a chiamata senza concorso per lavorare nello staff di Errani. Ma sembra che anche in quegli anni si sia occupata soltanto dell’agenda di Bersani. Dal 2001, infatti, Zoia Veronesi è il factotum dell’associazione Nens (Nuova economia nuova società), «pensatoio» fondato da Bersani e da un altro ex ministro, Vincenzo Visco.

Nel 2006 ebbe una seconda aspettativa e nel 2008 la regione creò l’ufficio romano destinato alla segretaria di Bersani, nonostante la regione Emilia-Romagna avesse da anni una rappresentanza nella capitale, in piazza Barberini, con una decina di dipendenti addetti al Servizio politiche di concertazione territoriale. Il superiore di Zoia Veronesi era Bruno Solaroli, ex parlamentare, ex sindaco di Imola e capo di gabinetto di Errani: anch’egli è indagato dalla procura di Bologna per concorso in truffa aggravata. In quei 22 mesi, secondo l’accusa della procura di Bologna, Zoia Veronesi fu stipendiata dalla regione (come dirigente professionale senza laurea) per lavorare come braccio destro di Bersani. Il pm Di Giorgio scrive nell’avviso di chiusura indagini che Veronesi avrebbe «omesso di dedicarsi» alla mansione di «responsabile del raccordo con le istituzioni centrali e il Parlamento».