Conte cacciò dal Governo gli impresentabili Siri e Rixi. Draghi si tiene il fascio-leghista Durigon. Il cambio di passo è questo

Sarà pure il governo dei migliori, ma in fatto di trasparenza e di coraggio lascia molto a desiderare. Il caso eclatante arriva con Durigon.

Conte cacciò dal Governo gli impresentabili Siri e Rixi. Draghi si tiene il fascio-leghista Durigon. Il cambio di passo è questo

Sarà pure il governo dei migliori, ma in fatto di trasparenza e di coraggio lascia molto a desiderare. Il caso eclatante arriva con Claudio Durigon: dopo le sue dichiarazioni che rivelano una volontà di intitolare una piazza di Latina – oggi intitolata a Falcone e Borsellino – ad Arnaldo Mussolini, fratello del Duce, ha sollevato non poche polemiche.

Da Movimento cinque stelle, Pd e Leu è arrivata la chiara richiesta di dimissioni. Che ovviamente il leghista non vuole esaudire. Ed ecco allora l’iniziativa promossa e promessa a settembre: una mozione di sfiducia. Nel frattempo, però, com’era facilmente immaginabile i partiti di destra si guardano bene dal commentare e restano in silenzio. Ciò che stupisce, invece, è proprio il silenzio dei “migliori”.

Mario Draghi, né Daniele Franco (titolare del ministero dell’Economia, sede di lavoro dello stesso Durigon) hanno proferito parola (leggi l’articolo). La ragione? Difficile dirlo. Quel che è certo è che, se avessero avuto il coraggio giusto, avrebbero detto la loro, nel bene o nel male. E invece ciò che sorprende è proprio il silenzio, strada inevitabilmente intrapresa da chi – per codardia si suppone – non vuole sbilanciarsi per non perdere accoliti.

TEMPI ANDATI. Tempi diversi quanto c’era Giuseppe Conte. Non sarà il “migliore” per qualcuno. Eppure quando c’erano inchieste, indagini o condanne il governo di allora era molto chiaro sul da farsi. Ben due sottosegretari si dimisero allora. A inizio maggio toccò ad Armando Siri, allora sottosegretario alle Infrastrutture, senatore della Lega e indagato per corruzione dalle procure di Roma e Palermo (leggi l’articolo).

Il decreto di revoca fu firmato l’otto maggio 2019 durante il Consiglio dei Ministri. Determinanti furono le opposizioni e il Movimento 5 Stelle (M5S) che avevano chiesto le dimissioni di Siri, peraltro già condannato per bancarotta fraudolenta nel 2011, e Conte aveva detto che gli avrebbe revocato l’incarico di lì a pochi giorni. Un atteggiamento chiaro, forte, deciso, al di là delle convenienze politiche del tempo.

Poche settimane dopo toccò ad Edoardo Rixi, anche lui sottosegretario al Mit (leggi l’articolo). Dopo la vicenda Siri, Rixi decise di fare un passo indietro dopo essere stato condannato a tre anni e cinque mesi di carcere per falso e peculato (reati per cui poi – è bene precisare – Rixi è stato totalmente assolto in Appello).

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