Giornalisti italiani sempre più precari. Un esercito in marcia, quello degli operatori dell’informazione, senza che però riesca ad effettuare alcun passo in avanti. Il quadro che emerge dalla II edizione dell’Osservatorio sul giornalismo presentato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni non dipinge di certo un quadro incoraggiante che potremmo sintetizzare così: l’Italia non è più un Paese per giornalisti. Per 112.397 iscritti all’Ordine dei giornalisti (dato settembre 2016), ci sono 59.017 posizioni aperte all’Inpgi, l’istituto di previdenza. L’Agcom, nel periodo analizzato, ha rilevato 35.619 giornalisti attivi in Italia, anche in via non esclusiva. Un dato in calo rispetto al 2014, quando fu redatta la I edizione dell’Osservatorio sul giornalismo. Una diminuzione del 3,9% a solo due anni di distanza. La ricerca registra, inoltre, un graduale invecchiamento della forza lavoro; dato allarmante che rispecchia un’elevata mancanza di turnover. Così alla digitalizzazione del panorama informativo che prosegue spedita, non corrisponde un altrettanto svecchiamento e inserimento di figure fresche e giovani maggiormente predisposte alle innovazioni imposte dalle nuove tecnologie.
Crisi conclamata – La ricerca evidenzia anche un certo “gender gap”, il divario di genere nella professione, sbilanciato a favore degli uomini dell’informazione. Con il 58,4% contro il 41,6% per il gentil sesso. Dato comunque in linea con l’intero panorama lavorativo. Una forbice significativa emerge nella differenziazione tra lavoratori dipendenti e autonomi. Che spesso corrisponde anche alla distinzione tra giornalisti tutelati e non tutelati. La vera inversione di tendenza è cominciata dal 2009, quando il numero dei giornalisti autonomi ha superato quello dei dipendenti. Questi ultimi, nel 2015, hanno rappresentato soltanto il 27% del totale. Un dato, questo, estremamente significativo per rivelare la precarizzazione sempre maggiore della professione. E confermato dalla graduatoria reddituale che accerta, negli ultimi quindici anni, una significativa crescita delle fasce più basse. Basti pensare che i dati relativi al 2015 evidenziano che nella fascia di reddito inferiore ai 5mila euro annui ci sono oltre il 40% dei giornalisti attivi. Quelli costretti a scrivere anche per 2 o 5 euro ad articolo, vittime pure di una mancanza di provvedimenti legislativi, annunciati e mai portati veramente in porto, come la legge “sull’equo compenso”: una misura di cui si discute da anni e finalizzato proprio ad evitare quello sfruttamento che si registra puntualmente ogni giorno. Con un esercito di giornalisti precari sfruttati, senza i quali probabilmente alcune testate non riuscirebbero neanche ad andare in edicola. Non solo sfruttati, ma anche minacciati. Perché la condizione di debolezza economica aggrava pure la vulnerabilità nei confronti delle intimidazioni. Sottoforma di querele quando si vanno a tastare personaggi e temi scomodi e di ritorsione anche dai propri editori quando non si hanno le adeguate tutele contrattuali. Insomma, “cornuti e mazziati”.