Il Punto di Mauro Masi. Per Google tanti progressi sulla tutela del diritto d’autore

Google ha reso noto il rapporto “How Google Fights Piracy” (come Google combatte la pirateria) il documento che descrive gli strumenti (in gran parte automatizzati) che permettono ai titolari del copyright di rivendicare i  propri contenuti scegliendo come monitorarli, se e quando rimuoverli ed eventualmente monetizzarli. Sulla piattaforma le questioni legate al diritto d’autore sono gestite da Content ID un sistema che, su You Tube,  permette agli aventi diritto di identificare e gestire in automatico i propri contenuti. Attraverso questo sistema, il gigante di Mountain View ritiene di aver generato e fatto arrivare agli interessati  – dalla nascita di Content ID ad oggi – oltre 2 miliardi di dollari come contropartita  per l’utilizzo di opere protette. Il principio del funzionamento di Content ID è, alla base, piuttosto semplice; il sistema richiede agli aventi diritto di caricare il file, in seguito vengono riconosciute automaticamente tutte le copie pirata e per queste si chiede agli interessati se si vuole rimuoverne il contenuto o lasciarlo e ricevere una monetizzazione. Quest’ultima opzione viene scelta nel 95% dei casi.

Tutto bene quindi. Non proprio, in quanto le grandi compagnie discografiche (ed anche le piccole, in verità) ritengono che Content ID funzioni ancora abbastanza male tant’è che per più del 40% dei casi il sistema non sarebbe in grado di identificare le violazioni; Big G contesta con forza questi dati anche da un punto di vista tecnico. Ora, al di là della polemica, un fatto è comunque certo: senza Content ID i due miliardi già versati agli aventi diritto sarebbero andati perduti a  tutto vantaggio della pirateria.

Un recente ed interessante studio dell’OCSE sottolinea come il capitale intellettuale (cioè quella componente dei fattori della produzione connessa alla conoscenza e caratterizzata dall’intangibilità) sia divenuto una delle risorse più importanti nella crescita del PIL e non solo nei paesi industrializzati. Il “capitale basato sulla conoscenza” è tutelato dai diritti di proprietà intellettuale e – ci dice l’OCSE – gli investimenti in questo settore crescono più velocemente degli investimenti in asset  fisici e le retribuzioni nelle industrie in cui è intensivo il ricorso alla proprietà intellettuale sono maggiori di quelle in cui non c’è questa caratteristica. Tra le varie componenti della proprietà intellettuale (copyright – diritto d’autore, brevetti, marchi, disegni industriali, indicazioni geografiche)  è proprio il  copyright quello che, sempre secondo l’OCSE, attrae i maggiori investimenti .

E’ interessante notare che le conclusioni dell’esercizio dell’OCSE sono, nelle linee generali, assai vicine a quelle di uno studio elaborato lo scorso anno dall’Ufficio Europeo dei Brevetti di Monaco in cui tra l’altro si affermava che le industrie ad alta intensità di Diritti di Proprietà Intellettuale “corrispondono salari notevolmente più elevati rispetto alle altre industrie prevedendo un premio salariale superiore al 40%.” Questo anche perché il valore aggiunto per lavoratore è più alto nelle industrie al alta intensità di Diritti di Proprietà Intellettuale che in qualunque altro settore dell’economia. Un dato su cui riflettere molto attentamente.