Gli imputati sono stati tutti assolti e i pm indagati. Un caso che conosce ben pochi precedenti quello noto come Eni-Nigeria, partito con l’ipotesi della più grande tangente mai pagata da una società italiana, ben 1,092 miliardi di euro, e approdato a quella che gli inquirenti abbiano giocato sporco, con la figura dell’avvocato Piero Amara, al centro di mille trame e causa dell’ennesimo terremoto all’interno della magistratura, sullo sfondo.
IL CASO. Dopo le assoluzioni e depositate anche le motivazioni della sentenza Eni-Nigeria, è emerso che la Procura di Brescia ha indagato i pm milanesi Fabio De Pasquale (nella foto) e Sergio Spadaro, che hanno portato avanti l’inchiesta, ipotizzando in relazione proprio al processo l’ipotesi di rifiuto di atti d’ufficio. Un’indagine quella sui magistrati avviata una decina di giorni fa, dopo l’interrogatorio del pm Paolo Storari, anche lui indagato a Brescia ma per gli ormai noti e discussi verbali dell’avvocato Amara, ex legale esterno dell’Eni, già condannato per corruzione in atti giudiziari e arrestato di nuovo tre giorni fa, consegnati a Piercamillo Davigo.
Sulla maxi tangente, il Tribunale ha sostenuto che vi sono dubbi su una montagna di denaro non tracciato, che potrebbero lasciar ipotizzare un patto corruttivo per ottenere i diritti di esplorazione del giacimento petrolifero Opl245, ma mancano prove sul fatto che tutti quei soldi siano finiti a pubblici ufficiali nigeriani che avrebbero reso possibili gli accordi illeciti. Più chiaramente: mancano “prove certe ed affidabili dell’esistenza dell’accordo corruttivo contestato“.
Da lì la decisione di assolvere tutti gli imputati, partendo dai big di Eni e Shell, come l’amministratore delegato della compagnia petrolifera Claudio Descalzi e il suo predecessore e attuale presidente del Milan, Paolo Scaroni. I pm di Milano da accusatori sono però finiti accusati in quanto, secondo i loro colleghi di Brescia, pur avendo la consapevolezza della falsità delle prove portate dall’ex manager di Eni, Vincenzo Armanna, avrebbero omesso di mettere a disposizione delle difese e del Tribunale gli atti su tali falsità.
Un’ipotesi che ruota attorno a un video tra Armanna e appunto l’avvocato Amara e a dei documenti relativi a un versamento di 50mila dollari da un conto dello stesso Armanna a un testimone, Isaak Eke. Abbastanza per provocare ulteriori spaccature all’interno della magistratura e far scorrere altri veleni. Il pm Storari ha infatti anche precisato di aver informato gli stessi vertici del suo ufficio che Armanna aveva prodotto ai pm del processo Eni-Nigeria chat modificate di suoi dialoghi con un testimone che lui avrebbe pagato, ma nel processo non sarebbero state depositate le chat corrette trovate nel telefono dello stesso Armanna.
E la procura di Brescia ha anche acquisito in Tribunale il video tra Armanna e Amara. La segnalazione del procedimento a carico dei due pm milanesi è intanto arrivata al procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, al Csm e al Ministero della Giustizia. L’indagine della Procura di Brescia nei confronti dell’aggiunto Fabio De Pasquale e del pm Sergio Spadaro è “atto dovuto che merita rispetto istituzionale, tanto quanto l’assoluta professionalità dei colleghi”, ha dichiarato ieri il procuratore di Milano, Francesco Greco, specificando che i due magistrati indagati il 5 marzo scorso, 12 giorni prima della sentenza sul caso Eni-Nigeria, gli avevano inviato una nota in cui segnalavano le loro “valutazioni critiche” sugli atti trasmessi dal pm Storari e da loro non depositati nel processo.