La scuola della Rai è una fabbrica di disoccupati. E costa pure 600mila euro l’anno. Impossibile assumere i giornalisti formati a Perugia. L’Anac impone i concorsi e Laganà solleva il caso

Più una fabbrica di disoccupati che una scuola di giornalismo. Questa la metamorfosi subita negli ultimi anni dal Centro italiano di studi superiori per la formazione e l’aggiornamento in giornalismo radiotelevisivo di Perugia, fondato nel 1992 dalla Rai e dalla locale Università. Viale Mazzini non può più assumere direttamente giornalisti e 18 giovani che grazie alla scuola umbra ogni due anni accedono all’esame per diventare professionisti si trovano così senza un lavoro. A sollevare il problema e a puntare il dito su una struttura che alla stessa Rai costa 600mila euro ogni 12 mesi è il consigliere d’amministrazione Riccardo Laganà.

LA FORMAZIONE. Il Centro di Perugia ha come soci anche l’Ordine nazionale dei giornalisti e la Regione Umbria, particolare quest’ultimo che sembra ora rappresentare un problema per gli stessi giallorossi, visto che a breve si voterà proprio per le regionali e che Movimento 5 Stelle e Pd si sono uniti per cercare di sbarrare il passo alla Lega. Una scuola nata per “promuovere l’accesso dei giovani laureati alla professione giornalistica”, presieduta da Antonio Bagnardi e diretta da Antonio Socci, il giornalista considerato uno dei principali oppositori di Papa Francesco, essendo contrario soprattutto alle aperture del pontefice ai migranti in generale e a quelli di religione islamica in particolare. Il consigliere Laganà sostiene però ora che il Centro di Perugia rappresenta solo uno sperpero di denaro per la tv di Stato e che produce altri disoccupati in una professione che già ne conta troppi.

IL NODO. L’Anac dal 2014 ha imposto alla Rai di fare concorsi pubblici per assumere giornalisti ed è così diventato impossibile arruolare direttamente quelli formati a Perugia. “Dal 2014 – sostiene il consigliere eletto nel CdA di viale Mazzini dall’assemblea dei dipendenti – 73 diplomati giornalisti della scuola sono in attesa di collocazione o di capire cosa sarà del loro destino perché non possono più essere assunti per chiamata diretta e sono proprio quelli relativi agli ultimi tre bienni”. Laganà ha così proposto di non andare avanti con il corso, “che genererà altri 18 disoccupati”, e rinviare tale attività al prossimo anno, nell’attesa di una riforma del Centro di Perugia, da trasformare in una scuola di formazione multimediale anche per autori, scrittori, sceneggiatori e “tutto ciò che afferisce alle professionalità utili ad una nuova Rai servizio pubblico multimediale”, in “stile Bbc”.

Contattato da La Notizia, il consigliere ha poi ribadito di voler “sottolineare che avviare un altro corso sarebbe rischioso e che occorre provare a rimandare il nuovo corso di giornalismo per avere tempo di riformare la scuola”. Un caso che non poteva che essere sollevato da chi siede nel CdA di viale Mazzini, ma che in precedenza ha istituito la piattaforma web “Indignerai”, per creare uno spazio di ascolto e confronto tra i dipendenti, e l’associazione “Rai bene comune”.

LA VIGILANZA. Intanto oggi approda in Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi la proposta di risoluzione sui principi di indirizzo e le linee guida sull’utilizzo dei social media da parte dei dipendenti e dei collaboratori della Rai. Una proposta di cui sono relatori Michele Anzaldi, passato dal Pd a Italia Viva di Matteo Renzi, e Alberto Barachini, di Forza Italia. Sulla stessa però si sono già registrati diversi problemi e non si esclude più di un emendamento. La discussione tra l’altro era prevista la scorsa settimana. Pd e Leu avevano però chiesto un rinvio, per impegni di Governo e nelle altre Commissioni, ma soprattutto perché i dem, con i passaggi in Italia Viva, avevano necessità di riorganizzarsi e soprattutto di scegliere un nuovo capogruppo in Vigilanza.

Oggi pomeriggio, nella seduta fissata a Palazzo San Macuto, dovrebbe essere la volta buona anche per trovare una soluzione e mettere così la parola fine alle regole per l’utilizzo dei social, da parte dei dipendenti della tv di Stato, un tema diventato da troppo tempo quasi un tormentone.