Riaperta per la terza volta l’inchiesta sulla morte di Pantani. I pm di Rimini indagano sulle dichiarazioni del pusher Miradossa alla Commissione antimafia

La Procura di Rimini torna a indagare sulla morte di Marco Pantani. Una nuova inchiesta, la terza, dovrà fare luce sulla scomparsa del campione di ciclismo.

Riaperta per la terza volta l’inchiesta sulla morte di Pantani. I pm di Rimini indagano sulle dichiarazioni del pusher Miradossa alla Commissione antimafia

La Procura di Rimini torna a indagare sulla morte di Marco Pantani. Una nuova inchiesta, la terza, dovrà fare luce sulla scomparsa del campione di ciclismo trovato morto il 14 febbraio 2004 nel residence Le Rose di Rimini. La Procura romagnola ipotizza, al momento contro ignoti, il reato di omicidio. Il fascicolo è stato riaperto in seguito all’invio di un’informativa da parte della Commissione parlamentare antimafia (leggi l’articolo).

Nel 2016 l’inchiesta bis fu archiviata escludendo che Pantani fosse stato ucciso. Recentemente la madre del Pirata, Tonina Belletti, era stata sentita in Procura. “Mamma Tonina chiede di capire una volta per tutte se il figlio è morto per un mix di antidepressivi con la cocaina assunta precedentemente oppure se ci sono altri motivi” ha detto l’avvocato Fiorenzo Alessi.

“La famiglia di Marco Pantani – ha aggiunto il legale – intende definitivamente chiarire questa vicenda. Mamma Tonina vuole ‘mettersi il cuore in pace’. Se ancora una volta non si riterrà che le indagini possano portare a nulla circa l’ipotesi di omicidio se ne prenderà atto. Se invece questo sviluppo investigativo porterà a dei risultati se ne prenderà altrettanto atto e si farà ciò che è opportuno e doveroso fare. La chiarezza definitiva credo sia sempre qualcosa di auspicabile”.

Al centro della nuova inchiesta, confermata all’Ansa dai legali della famiglia Pantani, c’è l’audizione, avvenuta a gennaio 2020 davanti alla Commissione antimafia, di Fabio Miradossa, il pusher che nel 2005 patteggiò una condanna per spaccio legato alla morte del campione.

“Marco è stato ucciso, l’ho conosciuto 5-6 mesi prima che morisse e di certo non mi è sembrata una persona che si voleva uccidere. Era perennemente alla ricerca della verità sui fatti di Madonna di Campiglio, ha sempre detto che non si era dopato”, aveva detto Miradossa.

“Prima di me – aveva aggiunto Miradossa (leggi l’articolo) – aveva altri fornitori, non so se si è rivolto ad altri, so che mancano i 20 mila euro che Marco aveva prelevato e che mi doveva per una fornitura precedente, per l’ultima fornitura e per un prestito che gli avevo fatto. 20 mila euro che io non ho preso. Ma dalla mia esperienza e da quello che ho visto dalle immagini in tv, Marco non ha consumato droga in quella stanza. Marco non sniffava, chi ha creato la scena del crimine non lo sapeva. Fumava crack”.

“Qualcuno era con lui quando la morte è arrivata” aveva detto, dinanzi alla stessa Commissione parlamentare antimafia (leggi l’articolo), anche l’ex generale della Guardia di finanza, Umberto Rapetto, consulente della famiglia Pantani, riferendosi ad alcune tracce di sangue e soprattutto come, al momento del ritrovamento del cadavere, “era posto il braccio”, facendo pensare che non sia stato lo stesso ciclista a spostarlo.