Salta il veto su Salvini al Viminale

È guerra per le poltrone tra Meloni, Salvini e Berlusconi. A quindici giorni dal voto la squadra di governo sarebbe è ancora in alto mare.

Dopo la vittoria schiacciante uscita dalle urne, nessuno avrebbe scommesso che a distanza di quindici giorni dal voto la squadra di governo sarebbe stata ancora in alto mare. Eppure è proprio quello che sta accadendo con i tre leader, Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, che in favore di telecamere professano unità mentre sottotraccia proseguono la loro solita guerra per le poltrone.

È guerra per le poltrone tra Meloni, Salvini e Berlusconi. A quindici giorni dal voto la squadra di governo sarebbe è ancora in alto mare

Così tra nomi che vengono proposti – o dati in pasto ai media – e veti incrociati, come quello di Salvini al Viminale o quello di Licia Ronzulli a prendere un ministero di peso, i diversi big dei partiti dicono tutto e il contrario di tutto. Ma davanti al rischio che la situazione sfugga di mano e che salti il banco, Fratelli d’Italia sta ammorbidendo sempre più le proprie posizioni quando non se le sta rimangiando completamente.

Il caso più emblematico è certamente quello del Carroccio che, ben conscio dei paletti imposti dalla Meloni, ha pensato bene di dare il via a uno scontro frontale con Fratelli d’Italia. L’occasione è stata quella del consiglio federale culminato con il partito che prima ha fatto quadrato intorno a Salvini, sotterrando temporaneamente l’ascia di guerra, e dopo ha ribadito che è lui “il candidato giusto per il Viminale”.

Poi, alzando ulteriormente la posta in gioco, hanno ribadito l’intenzione di chiedere la riconferma dei tre ministri uscenti che va a cozzare frontalmente con il cosiddetto ‘lodo Meloni’ consistente nel fatto che nessuno potrà fare il ministro nel governo a trazione FdI se già lo ha fatto in precedenza nello stesso ministero.

Si tratta di veri e propri sfregi fatti all’indirizzo della Meloni che, come noto, la pensa in modo diametralmente opposto. Ma la leader della coalizione – che voci di corridoio descrivono come ‘imbufalita’ per gli atteggiamenti sconsiderati dell’alleato – sa che non può fare uno strappo con Salvini o rischia di dover rinunciare a Palazzo Chigi.

Per questo nelle ultime ore il suo veto sul ritorno al Viminale del Capitano è stato ammorbidito tanto che, dopo la riunione di FdI, il suo fedelissimo Fabio Rampelli ha mandato segnali distensivi dichiarando che “non mi risulta” che ci sia un veto sull’approdo di Matteo agli Interni e a chi gli domandava della “lista della spesa” della Lega sui ministeri ha replicato: “Tutti ne hanno una, non credo che questo possa essere rappresentato come un problema. Hanno dato delle indicazioni su cui si discuterà. Nervosismo non c’è, l’attenzione legittima del circuito mediatico crea molto più nervosismo di quanto ce ne sia nella realtà”.

Dello stesso avviso il capogruppo di FdI, Francesco Lollobrigida, secondo cui: “A me non risulta che ci siano veti di alcun tipo, partire dai veti è sbagliato, partire dalle competenze, dalle qualità, dalle capacità delle persone che possono accompagnare il popolo italiano, nel ruolo importante all’interno di un Consiglio dei ministri, a fare il meglio possibile per restituire a questa nazione il ruolo che merita”.

La Meloni da giorni getta acqua sul fuoco e ieri è tornata a dire che: “I rapporti con gli alleati sono molto buoni”

La realtà, però, è ben diversa e che ci siano tensioni nel Centrodestra appare chiaro a tutti. Proprio per questo la Meloni da giorni getta acqua sul fuoco e ieri è tornata a dire che: “I rapporti con gli alleati sono molto buoni, stiamo portando avanti una interlocuzione positiva. Rispetterò gli equilibri ma servono nomi di alto profilo, non è una questione di tecnici o di politici. A capo dei dicasteri servono le giuste competenze”.

Insomma il messaggio è chiaro: i veti sono saltati e ora è il momento di trovare una quadra. Il problema è che riuscirci è impresa ardua anche perché Lega e Forza Italia continuano a martellarla dicendosi contrari al fare ricorso a tecnici. Anche qui la Meloni ha voluto mettere in chiaro le cose spiegando che “il vero problema non è scegliere ministri tecnici o politici: l’obiettivo è quello di avere una squadra formata da persone di alto profilo, all’altezza della situazione. Se in un dicastero l’alleanza di centrodestra non ha un esponente di livello adeguato non c’è alcun problema ad affidare a un tecnico quell’incarico”.

Panetta, dato come prossimo ministro dell’Economia, si sarebbe tirato fuori. Ora il favorito e Siniscalco

Peccato che uno di questi, ossia Fabio Panetta della Bce e dato come prossimo ministro dell’Economia, si sarebbe tirato fuori e così ora il favorito appare il politico Domenico Siniscalco, seguito da Maurizio Leo.

Tajani favorito agli Esteri. Alla Salute è battaglia tra Palù e la Ronzulli

Agli Esteri perde quota la candidatura di Elisabetta Belloni mentre ora il favorito appare Antonio Tajani che dovrebbe spuntarla anche su Giulio Terzi di Sant’Agata. Alla Giustizia appare fatta per Carlo Nordio mentre alla Pubblica amministrazione dovrebbe finire Giulia Bongiorno.

Per il Viminale, oltre a Salvini, se la Meloni cederà, il nome più quotato è quello di Matteo Piantedosi ma è in lizza anche Adolfo Urso. Al ministero della Salute, invece, la battaglia è tra Piero Palù (presidente Aifa), la Ronzulli che Berlusconi vuole piazzare nella squadra di governo a ogni costo, e Rocco Bellantone (preside della Facoltà Medicina e chirurgia della Cattolica) che si è reso disponibile: “Mi farebbe piacere e mi onora, ma non so dire nulla, non mi ha chiamato nessuno”.

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