Solite beghe tra i vicepremier. Ogni giorno ha la sua pena per M5S e Lega. E i dem provano a spaccarli

I due vicepremier anche ieri hanno trovato l’occasione per polemizzare

La Sicilia è solo l’antipasto del lungo turno di amministrative e poi del piatto forte che sarà servito in tavola con le Europee e le regionali in Piemonte del 26 maggio. Il dato politico di questa prima tornata è che la marcia della Lega per diventare un partito nazionale radicato anche al Sud è ancora lunga, e senza i tradizionali alleati del Centrodestra Salvini non sfonda. D’altra parte, i Cinque Stelle bersagliati quotidianamente dalla grande stampa, hanno aumentato i consensi e sono al ballottaggio nell’unico capoluogo di provincia in cui si è votato: Caltanissetta.

Non pervenuto ancora una volta il Pd, che invece tocca con la mano di Nicola Zingaretti la disperazione dei lungo-disoccupati napoletani, arrivati a fare a botte con la polizia prima di un incontro pubblico del segretario. A promuovere la manifestazione è stata un’associazione che contesta da tempo le scelte del governatore Pd della Regione, Vincenzo De Luca.

Non fanno a botte nello stesso modo, ma quasi, i due alleati di Governo. I due vicepremier anche ieri hanno trovato l’occasione per polemizzare, aggiungendo all’ultimo scontro sulla sopravvivenza delle Province anche la castrazione chimica. Per Matteo Salvini è questa la soluzione contro gli stupratori, mentre Luigi Di Maio gli ha fatto notare che è solo uno slogan, visto che può essere prevista solo come una cura su base volontaria, e il carcere più duro è invece il giusto deterrente per chi commette questo terribile reato contro le donne.

Dietro le quinte regge sempre il caso Siri, e l’attesa dei Cinque Stelle di una mossa che possa togliere persino la Lega dall’imbarazzo di blindare un sottosegretario accusato di corruzione e d’altra parte ingombrante anche politicamente, visto il tentativo di far passare una norma sull’eolico che gli era stata perorata da un socio occulto di un arrestato per presunto favoreggiamento alla mafia. Di Maio quindi non lascia la presa, e dopo aver sfidato il collega vicepremier ad approvare cinque leggi anticasta, tiene il punto sulla legalità.

I fatti emersi a Latina, con un clan mafioso apertamente schierato nel sostegno elettorale alla Lega, non va giù facilmente alla base pentastellata, sempre più indispettita dalle provocazioni del ministro dell’Interno. Normale dialettica pre elettorale, osserva più di un osservatore, anche se certe cicatrici restano. Un solco sul quale ha provato a gettare sale il Pd, con l’offerta del capogruppo alla Camera Graziano Delrio di dialogare insieme ai Cinque Stelle su salari minimi e conflitti d’interesse. Una provocazione respinta al mittente da Di Maio, che ha ricordato a un Pd ancora abbondantemente “renzizzato” che negli anni passati da questo orecchio non ci aveva sentito nessuno.

Un modo per rasserenare anche la Lega, dove cresce il timore che il Movimento cambi cavallo e vada a governare col Pd, lasciando Salvini e i suoi senza poltrone. Uno scenario non impossibile, tanto che persino il presidente di Confindustria Francesco Boccia in un’intervista al Financial Times adesso loda i Cinque Stelle. Incredibile, ma vero.