Spiavano anche dentro le case violando i sistemi di videosorveglianza

Le indagini hanno permesso di fermare due gruppi di hacker che si introducevano negli impianti di videosorveglianza per rubare immagini hard.

Spiavano anche dentro le case violando i sistemi di videosorveglianza

La Polizia Postale di Milano, con il coordinamento del Servizio Polizia Postale di Roma e della Procura della Repubblica di Milano, ha concluso oggi un’operazione che ha consentito di disarticolare un sistema criminale “finalizzato alla violazione, mediante intrusioni informatiche, di impianti di videosorveglianza installati per lo più presso abitazioni private, ma anche in spogliatoi di palestre, piscine, studi privati ecc”.

Le intrusioni nei sistemi di videosorveglianza privati servivano a rubare e diffondere immagine hard

L’operazione, che ha interessato 10 città su tutto il territorio nazionale, si è conclusa con altrettante perquisizioni domiciliari e informatiche e con il sequestro di un’ingente quantità di materiale informatici.

“Grazie a una complessa e articolata attività di polizia giudiziaria – ha riferito la Polizia -, durata oltre un anno e conclusasi nei giorni scorsi con 10 perquisizioni eseguite su tutto il territorio nazionale, la Polizia di Stato di Milano, con il coordinamento dalla Procura della Repubblica di Milano, è riuscita a disarticolare un vero e proprio ‘sistema’ criminale finalizzato alla violazione, mediante intrusioni informatiche, di impianti di videosorveglianza installati per lo più presso private abitazioni”.

Gli investigatori della Polizia Postale hanno scoperto l’inquietante fenomeno grazie alla segnalazione di un cittadino e agli sviluppi dell’analisi forense compiuta sullo smartphone sequestrato a uno degli indagati nell’ambito di un altro procedimento penale, relativo a reati di altra natura.

“La ricostruzione della filiera delittuosa e l’identificazione degli autori delle condotte illecite – spiega ancora la Polizia – hanno comportato eccezionali sforzi investigativi, anche in considerazione degli accorgimenti adottati dai sodalizi criminali per anonimizzarsi sulla rete internet e sfuggire alle azioni di contrasto delle Autorità”.

“Nell’ambito dei due gruppi criminali scoperti dagli investigatori (per uno dei quali – il più corposo – si configura una vera e propria associazione per delinquere), gli indagati avevano ruoli e compiti ben definiti: i più esperti in materia informatica scandagliavano la rete alla ricerca di impianti di videosorveglianza connessi ad internet; una volta individuati, li facevano oggetto di veri e propri attacchi informatici che consentivano, ricorrendo determinate condizioni, di scoprire le password degli NVR (ossia dei videoregistratori digitali a cui normalmente vengono collegate le telecamere di videosorveglianza) e di accedere ai relativi impianti”.

Raccolte le credenziali di accesso, era compito di altri appartenenti ai due gruppi criminali verificare la tipologia degli impianti, gli ambienti inquadrati e la qualità delle riprese, allo scopo di individuare telecamere che riprendessero luoghi particolarmente “intimi”, come bagni e camere da letto. L’obiettivo finale era infatti quello di carpire immagini che ritraessero le ignare vittime durante la consumazione di rapporti sessuali o atti di autoerotismo.

In alcuni casi, le immagini facevano riferimento a telecamere installate presso alberghi, studi medici e spogliatoi di palestre e piscine. Al termine di tale selezione, le credenziali di accesso venivano affidate ad altri sodali che, attraverso “vetrine” online create ad hoc, le mettevano in vendita sulla rete. I proventi illeciti venivano reinvestiti nell’acquisto di sempre più aggiornati software per l’effettuazione degli attacchi informatici.

I luoghi virtuali scelti dagli indagati per i loro propositi illeciti, nell’illusoria speranza di rimanere anonimi, erano il social network “ВКонтакте” (“VKontakte”, abbreviato VK, conosciuto come la versione russa di Facebook) e Telegram.

Al termine delle perquisizioni, gli investigatori della Polizia Postale di Milano, Napoli e Catania hanno sequestrato 10 smartphone, 3 workstation, 5 PC portatili, 12 hard disk e svariati spazi cloud, per una capacità di storage complessiva di oltre 50 Terabyte. Sono stati inoltre sequestrati tutti gli account social utilizzati dagli indagati per il compimento delle condotte delittuose e diverse migliaia di euro (anche in criptovaluta).